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Società

IL CAPO E I SOTTOPOSTI

FELICE MAGNANI - 08/04/2016

capoChi non ha avuto, anche solo per una volta, un dirigente come capo? Credo che ciascuno di noi abbia fatto la propria esperienza, chi positiva, chi negativa, chi così e così. Nella maggior parte dei casi il dirigente ha incarnato il capo, colui che comanda, capace di decidere sul destino delle persone. Di solito lo si rappresenta come un cerbero, cattivo e rabbioso, mai soddisfatto, incapace di capire lo stato d’animo delle persone, le loro pene, le loro difficoltà. La storia lo ha dipinto come egoista, nervoso, mai soddisfatto, privo di pietà, sempre pronto a colpire di spada per dimostrare la sua forza e la sua autorità.

Non è sempre così, abbiamo spesso incontrato dirigenti comprensivi, empatici, capaci di stabilire un ottimo livello relazionale, fuori dal circolo vizioso delle amicizie, dei padrini e delle madrine o delle inclinazioni caratteriali. Li abbiamo conosciuti e li abbiamo amati, perché ci hanno trattato bene, con rispetto, anche quando hanno dovuto farci capire come e dove avevamo sbagliato. Il rispetto è sempre stato il cavallo di battaglia dei dirigenti capaci. Ma come mai questa disparità di comportamenti? Sembrerà strano, ma alla base dei conflitti in campo lavorativo c’è sempre un vizio caratteriale, una forma sbagliata di approccio comunicativo che crea antagonismo, paura, rancore, rabbia, odio e rifiuto. Un cattivo rapporto tra dirigente e dipendente diventa quindi fonte inesauribile di situazioni spiacevoli: pregiudizi, sfiducia, sottovalutazione, aggressività, accuse, ripicche e tanti altri atteggiamenti assolutamente inadeguati che minano alla base la relazione lavorativa.

Quando un rapporto nasce viziato dal pregiudizio finisce malissimo. Questo succede purtroppo in tutti gli ambiti del mondo del lavoro. In molti casi la relazione si basa sulla simpatia o sull’antipatia, su varie forme di condivisione o di contrapposizione, di appartenenze, di complicità, di obiettivi convergenti o divergenti e tralascia completamente la sfera dell’umanità, quella parte della persona che ha una valenza straordinariamente importante nel cammino esistenziale delle due parti in causa: il dirigente e il dipendente. È molto difficile capire che cosa scatti nello stadio iniziale, quando due sguardi sconosciuti s’incontrano. Forse un problema di energia, di elettromagnetismo, di cariche invisibili, sta di fatto che molti approcci hanno risentito di varie forme di incompatibilità irrisolta allo stadio iniziale. Il problema vero è che l’incompatibilità rischia di diventare una malattia cronica, che si abbatte sulla sfera nervosa e si manifesta con esaurimenti, frustrazioni, mancanza di motivazione, caduta di spirito, freddezza comunicativa, per arrivare addirittura a forme maniacali di contrasto, come il mobbing, ad esempio.

Succede spesso, infatti, che persone brave e capaci, che fanno normalmente il loro dovere, vengano messe in difficoltà da chi invece si comporta con disonestà. Quando la disonestà si vede messa in crisi dall’onestà è allora che estrae le sue unghie e colpisce. Colpisce talmente bene che fa proseliti, perché riunisce rapidamente tutte le invidie presenti sul campo, fino a formare un piccolo ma agguerritissimo esercito.

E il dirigente come si comporta? Di solito da furbo, cercando di mettersi al riparo da una qualsiasi presa di posizione, a meno che non venga tirato per i capelli e gli si imponga un giudizio professionale, al di sopra di ogni sospetto. In genere l’incompatibilità tra dirigenti e dipendenti è all’origine di molte crisi aziendali. Le incompatibilità generano infatti faide e l’azienda diventa così teatro di lotta, a scapito della produzione. Un’azienda divisa, non solidale, priva di obiettivi comuni stabili e di rapporti empatici positivi è destinata a lavorare al di sotto delle proprie possibilità, con tutte le conseguenze del caso.

Il problema vero è che in molti casi il dipendente ha tutto il tempo per imparare a svolgere bene il suo ruolo, mentre il capo non ha nessuno che lo possa guidare a diventare un buon capo, per cui il rischio è che il suo potere diventi una sorta di spada di Damocle per chi ha la disgrazia di finirgli sotto. Credo sia molto importante avere dirigenti preparati a svolgere il loro ruolo e soprattutto capaci di capire l’animo umano, i suoi problemi, le sue difficoltà, guidandolo ad un approccio positivo ed equilibrato con quel mondo del lavoro che costituisce la parte più importante della vita delle persone.

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