Veemente, quanto impolitica, di fronte alla generale ipocrisia, è stata, al Congresso Usa, l’esecrazione del Papa nei confronti del commercio mondiale delle armi quale fautore di un numero sempre crescente di conflitti sia su scala locale che più vasta (trenta guerre di grande dimensione nel mondo). Questo a disprezzo di tutte le convenzioni firmate e di tutti gli impegni regolarmente traditi. In materia l’Italia importa il 10% delle materie prime, ma esporta più del 90% di ciò che produce, confortata da una grande specializzazione del lavoro. La Finmeccanica occupa il nono posto nella produzione mondiale di armi (Augusta Westland, Alenia Aeronautica ecc.). A nulla vale in termini etici la giustificazione che si producono armi per la difesa.
E a nulla vale che il Parlamento europeo lo scorso febbraio abbia adottato una risoluzione d’embargo per la vendita di tutte le armi all’Arabia Saudita (voti contro 212) impegnata nello Yemen a favorire in tutti i modi il Presidente Abd Rabbu Mansour Hadi contrastato da forze amiche dell’Iran. 25 miliardi di dollari sono stati garantiti all’Arabia in droni, bombe, siluri, razzi e missili nel 2015 (37,2 milioni di euro anche dall’Italia). Tutto questo nonostante la sottoscrizione del Trattato Att.
Un’accusa è stata mossa al Governo per la violazione dell’art.1 della Legge nazionale 185/90, che proibisce la vendita di armi a Paesi che siano in conflitto armato tra loro. Tra i nostri migliori clienti tra l’altro figurano Emirati, India e Turchia, non certo Paesi pacifisti. Si è registrato un aumento del 19% per l’Africa, del 61% per il Medio Oriente (per il 41% se si tratta dell’Africa Subsahariana). Invece Germania e Olanda hanno diminuito le esportazioni drasticamente. Comunque su scala mondiale risultano leader nell’export Usa, Russia, Cina, Francia e Germania.
Lo scandalo maggiore, anche se messo tra parentesi, concerne la fornitura di armi cosiddette leggere (è il caso per esempio delle industrie di casa nostra, v. Gardone Valtrompia).
È stata proposta in sede europea una commissione per disciplinare il mercato delle armi a uso civile, con l’opposizione di molte categorie interessate e parlamentari. E nell’aprile del 2015 l’Esecutivo comunitario ha adottato un’Agenda europea sulla sicurezza. Problemi da risolvere: la riconversione delle armi, l’armonizzazione in tema di marcatura, le esigenze di cacciatori, tiratori sportivi, commercianti e collezionisti.
Il mercato delle armi leggere bresciane è fiorente soprattutto nella direzione degli Usa. Se in passato è stata condotta una coraggiosa campagna contro le mine antiuomo, ora a prevalere è l’indifferenza col silenzio del clero locale. Queste le giustificazioni in nome dell’economia, del lavoro dell’occupazione: se non le produciamo noi, lo farebbe qualcun altro. Il problema è di chi compra le armi e come le adopera. A conforto anche le prese di posizione sindacali. Oltre all’indotto si registrano più di diecimila dipendenti in funzione. Tra le scuse: il tiro al piattello, le pistole assegnate alle forze di polizia, i fucili da caccia, la pura replica di armi storiche. Il fatturato è stato di 1,4 miliardi di euro nel 2013, di 1,3 miliardi nel 2014.
Inutile dire che l’esportazione più pericolosa di armi risulta quella verso i regimi autoritari e più oscurantisti, che violano di continuo gli elementari diritti umani, in una trasparenza minima del mercato. Le armi per un verso sono “oro rosso” che sembra non puzzare. Vano l’invito di Amnesty International a decretarne l’embargo. E realisticamente purtroppo c’è da annotare che risolutiva, anche se necessaria, non sarà la denuncia del Papa: bisogna fermare il traffico di armi che frutta denaro intriso di sangue spesso innocente (al Congresso Usa). Ancor più esplicito il messaggio da Santa Marta (19 novembre 2015): Questi che operano la guerra, che fanno la guerra, sono dei delinquenti.
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