Paolo De Chiesa, il campione dei dodici podi, degli oltre cinquanta piazzamenti nei primi dieci al mondo, l’uomo che ha saputo tenere testa a campionissimi come lo svedese Ingemar Stenmark, l’austro-lussemburghese Marc Girardelli e lo Svizzero Pirmin Zurbriggen è l’anello di congiunzione che ha saputo consegnare lo sci azzurro al campionissimo che avrebbe riaperto le porte di un sogno alla nazione italiana: Alberto Tomba. Arriva in Coppa del Mondo a soli diciotto anni, dopo aver vinto lo Slalom Gigante di apertura stagionale, davanti allo svedese Ingemar Stenmark, l’uomo destinato a diventare il numero uno assoluto al mondo, con 86 successi, di cui 46 conquistati in gigante e 40 in slalom. È proprio grazie a questa straordinaria vittoria sul giovane svedese, che entra a pieno titolo nella valanga azzurra, coronando un sogno iniziato all’età di quattro anni, calzando per la prima volta gli sci sul campetto di Cervinia, la passione della mamma.
Quindi la prima gara a Crissolo, una piccola frazione ai piedi del Monviso.
“Avevo la febbre, ma scongiurai la mamma di non badare al termometro: arrivai secondo…eravamo in due…ero felice!”. “Poi ci spostammo al Sestrière, favoloso teatro di tutte le mie scorribande sulla neve, dove tuttora scio nel tempo libero. Al colle affrontai la seconda gara della mia vita, con un paio di sci affittati all’ultimo momento, perché avevano rubato i miei poco prima della partenza. Iniziò così, quasi per gioco, un’avventura fantastica, una storia bellissima che ha legato a Sestrière e al suo Sci Club la mia infanzia e la mia giovinezza…le più belle che potessi sognare!”.
È con grande fierezza che Paolo De Chiesa parla della sua infanzia e della sua adolescenza sportiva:
“Da bambino dovetti fare i conti con due avversari fortissimi: Nanni Deambrogio e Marco Merlo, poi diventato campionissimo di sci d’acqua, prima di morire in un tragico incidente aereo. L’agguerrita concorrenza non mi impedì di vincere i Campionati Italiani di ogni categoria, il Trofeo Topolino e i primi Giochi della Gioventù (Nevegal 1970), prima di trionfare nelle categorie aspiranti e juniores. Pensate che a 16 anni, a Ponte di Legno, misi in fila persino chi aveva tre anni più di me e nello stesso anno giunsi sesto ai Campionati Italiani, superando in slalom molti campioni della Valanga azzurra, inequivocabile segnale che presto sarei arrivato anch’io…”.
Anche quando parla del suo passato sportivo, il campione di Saluzzo mantiene intatta quell’eleganza e quella fierezza che hanno contraddistinto sempre la sua vita:
“Sfogliare l’album del mio passato sportivo è un po’ come rivivere le immense gioie che lo sci mi ha regalato ma anche ripercorrere erte ripidissime, momenti bui che trovano spiragli di luce solo nei flash scattati dalla memoria… col senno del poi. A metà ottobre, nel ’74, a Livigno c’era già la neve e, di punto in bianco, fui convocato dal direttore tecnico Mario Cotelli per un test con Thoeni e Gros. Battei l’intera armata e venni aggregato alla Valanga Azzurra. Per me fu come una carica di dinamite, tanto da vincere davanti a Stenmark il gigante d’apertura stagionale e salire sul podio di Coppa del Mondo all’esordio in slalom, a Madonna di Campiglio. Ai tempi della Valanga Azzurra il parallelo di Natale era ambitissimo ma, pur sciando alla pari con i migliori, nel ’74 non ne avevo diritto in quanto appartenente alla squadra B. La sera prima della gara ero tornato a Saluzzo a festeggiare i miei exploit con gli amici di sempre, rincasando a notte inoltrata. I cellulari non esistevano e la mamma non riuscì a comunicarmi che aveva telefonato Cotelli e che il mattino successivo mi sarei dovuto presentare a Cervinia a sostituire l’acciaccato Schmalzl. Giunsi a Cielo Alto dopo una notte in bianco, trasportato di peso dall’inseparabile Cesco Deflorian. Ma a 18 anni si fanno miracoli: vinsi il parallelo bruciando Pierino in semifinale e Gustavo in una finale al cardiopalmo! Nella stessa stagione esordii a Kitzbuhel, il tempio dello sci. Ero uno dei favoriti ma il boato di 30.000 persone che si propagò nel catino di Kitz quando scese Hinterseer, l’idolo di casa, mi spaventò. In attesa del mio turno, confessai a Pierino che quell’arena mi faceva paura. Come sempre, l’amico fraterno mi confortò: saremmo stati noi a volare sul nido degli aquilotti austriaci…. Vinse Gros davanti a Stenmark, terzo io, 4° Hinterseer: fantastico!!! L’autunno successivo, in allenamento ad Alagna, ero in gran forma ma inforcai su un dosso, errore reiterato pochi minuti più tardi nello stesso punto del percorso, riportando un fortissimo stiramento inguinale poi trasformatosi in pubalgia cronica. Fu l’inizio del declino in gigante, specialità che amavo e che decisi di abbandonare un anno più tardi dedicandomi solo allo slalom. Sapevo quanto fosse difficile guadagnarsi il posto nella Valanga: l’avevo sperimentato sulla mia pelle nel ’76, escluso dallo slalom olimpico di Innsbruck quand’ero 5° al mondo. Le ingiustizie, però, non le ho mai sopportate. Ai mondiali di Garmisch, nel ’78, solo la sera prima della gara Cotelli trovò il coraggio di informarmi di aver optato per un Thoeni in crisi nera, accampando un’inesistente chance in combinata. Quando Mario mi consegnò il pettorale da apripista, diedi in escandescenze declinando con sdegno il compito assegnatomi. Persino Stenmark, sorpreso dall’autogoal italiano, ringraziò Cotelli per avergli eliminato un avversario in palla come me ( ci eravamo allenati insieme a Brunico qualche giorno prima ) ! A seguito della mia levata di scudi, Cotelli minacciò di non convocarmi alla successiva gara di Coppa a Chamonix, ma non poté perché sapeva benissimo che avevo ragione io. Prova ne fu che salii sul podio francese con Stenmark e Phil Mahre battendo tutti i miei compagni ma, nonostante le pressioni dei giornalisti, smaniosi di riaprire la polemica su quella vaneggiante esclusione iridata, ciò che dissi a Cotelli in un corridoio d’albergo lo sappiamo solo noi…. Qualche anno dopo ci siamo stretti la mano, da sportivi, senza rancore. Nell’ottobre del ’78 fui vittima di un gravissimo incidente d’arma da fuoco. In lotta tra la vita e la morte, ripresi a sciare solo un anno più tardi, dopo aver abbandonato gli studi in medicina. Dovetti ripartire da zero, scendendo su piste distrutte, in mezzo ai sassi, ma non mollai! Risalita la china a suon di sforzi e sacrifici inenarrabili, nel dicembre ’81 tornai sul podio, tanto per cambiare con Mahre e Stenmark. Il canalone Miramonti di Madonna di Campiglio mi aveva ancora una volta portato fortuna: il più terribile incubo della mia vita svanì così, in un pianto liberatorio, abbracciato dall’inseparabile Pierino… Nello stesso inverno, ai mondiali di Schladming ero fra i favoriti. Terzo dopo la prima manche, nella seconda sentii gracchiare l’altoparlante che, in tedesco, annunciava il mio intermedio. Era il migliore e istintivamente rallentai per un paio di porte, quanto bastò per vedere sfumare la medaglia di bronzo per soli 5 centesimi…. Anche alle Olimpiadi di Sarajevo, nel 1984, avrei potuto giocare le mie carte ma andò tutto storto, a cominciare dalla notte precedente…. Giunto nel villaggio olimpico 48 ore prima dello slalom, fui confinato con il mio allenatore Tullio Gabrielli nello stabile che ospitava il Canada: probabilmente c’era qualche dirigente di troppo e da noi non c’era posto! Peccato che, non avendo un solo slalomista in gara, i simpaticissimi canadesi festeggiarono la fine delle Olimpiadi proprio quella sera. Non riuscii a chiudere occhio per il baccano e il giorno dopo mi presentai al cancelletto di partenza stanco e nervoso. Scivolai su un grumo di neve sui piedi del grande Killy, mio estimatore, dopo aver fatto segnare il secondo miglior intermedio. Non sarà stata colpa di una notte in bianco ma… Ai mondiali di Bormio, nel 1985, un anno prima di appendere gli sci al chiodo, avevo le carte in regola per finire in bellezza ma, in allenamento a Caspoggio, pochi giorni prima della gara, mi alzai dal letto con le ossa rotte. Decisi di correre nonostante la febbre. Avrò deluso i tifosi ma, con quel sesto posto, superai me stesso…”.
Ma l’amore per lo sci è troppo grande per finire con la carriera di atleta. Quando le forze fisiche vengono meno, Paolo mette in campo la sua capacità di comunicare al mondo i segreti di uno sport che è stato il senso di una vita. Ecco come affronta la seconda parte della sua esistenza:
“Ho smesso di sciare a 30 anni, senza laurea in medicina e una vaga idea sul da farsi. Ho imboccato la strada del giornalismo grazie ad una proposta di Telemontecarlo, dove ho lavorato dal 1986 al 1993 in qualità di opinionista e produttore di programmi sportivi come “Pianeta neve” e “Pianeta mare”. Dopo 7 anni di prezioso tirocinio presso l’emittente monegasca, lavoro dal ’93 in Rai, prima con Focolari, poi con Gobbo e gli ultimi 4 anni con Davide Labate. Organizzo il Trofeo Lacoste e da 3 anni anche la Coppa Colmar, sempre di Golf, per conto della famiglia Colombo. Per 14 anni ho collaborato con la rivista Sciare, prima di approdare a Sci e al Mondo del Golf. Il mio hobby preferito è proprio il Golf: ho un handicap di 2,7 e lo pratico sin da bambino, a parte il periodo di militanza nella Valanga quando, plagiato dai compagni di squadra, passai per qualche anno al tennis. Da 4 lustri sono legato alla famiglia Colombo, titolari della Colmar e distributori della Lacoste in Italia, amici veri grazie ai quali il lavoro è anche…. divertimento. Da dodici anni, infatti, sono testimonial e consulente del Trofeo Lacoste, un circuito di Golf di grande successo e ambito dai Circoli più prestigiosi della Penisola. Quando vado a sciare indosso esclusivamente capi Colmar, realizzati con i materiali tecnologicamente più avanzati ( tessuti altamente tecnici, elasticizzati, impermeabili e traspiranti, ) prodotti che garantiscono una vestibilità e un microclima corporeo ideali per scorazzare sulle piste in totale comfort. Vi confesso che lo sci che mi diverte di più è il fuori pista, passione coltivata sin da piccolo sulle code di papà. Ma da quando sono arrivati il carving e le sciancrature, i sagomati profili laterali degli sci di nuova concezione, ho riassaporato il piacere di sfrecciare sulle piste alla scoperta di emozionanti pieghe motociclistiche. Nel frattempo sono arrivate sulla porta di casa le Olimpiadi di Torino, treno di sola andata e preso al volo a traino dell’amica d’infanzia Evelina Christillin, vice presidente vicario del comitato organizzatore e autentico ciclone della fase di candidatura. Nelle file del TOROC ho collaborato nell’ambito della comunicazione occupandomi principalmente di sport production, concernente l’intrattenimento prima, durante e dopo le gare di tutti gli sport”.
Ascoltarlo durante le telecronache su RAI SPORT è un grande piacere, perché in lui si assemblano e si coniugano armoniosamente l’eleganza comunicativa e l’infinita esperienza di chi i campi da sci li ha vissuti. Il suo commento denota fine determinazione e una grossa professionalità, che ne fanno uno dei giornalisti sportivi più amati e apprezzati.
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