AAA idee cercansi. Potrebbe essere questo il filo conduttore di una ‘strana’ campagna elettorale appena cominciata ma che ci porterà sino al voto di giugno. Se c’è infatti un aspetto paradossale di queste settimane è che tra primarie, battaglie sui nomi, veti e voti incrociati, nessuno o quasi ci dice che cosa intenda fare per salvare questa città – Roma – dal naufragio, una volta eletto primo cittadino.
Scorrendo i siti dei candidati sin qui in campo (nel centrodestra la battaglia Bertolaso/Meloni-Salvini non è ancora conclusa) ci si imbatte in elenchi di buone intenzioni, qualche slide che oggi vanno tanto di moda, vaghi slogan risolutivi.
Marchini punta sulla rinascita di borghi e quartieri, Virginia Raggi sul trasporto pubblico romano Giachetti su un ritrovato rapporto di fiducia tra cittadini e Campidoglio (dopo la rovinosa esperienza di Marino). Sullo sfondo la drammatica questione sicurezza/immigrazione su cui nessuno sembra per ora avere idee chiare.
Il tema dell’amministrazione dovrebbe essere il punto centrale per un Comune che ha 13 miliardi e 600 milioni di euro di debiti (generato in buona parte anche dalle amministrazioni di centrosinistra) e che ha cercato di compensare con quella che Alemanno chiamava senza pudore “la moneta urbanistica”: la sistematica concessione di nuovi permessi per costruire, in cambio di microelargizioni alle fameliche casse comunali.
La mastodontica burocrazia capitolina, le aziende partecipate in perdita, la difficoltà di poter licenziare i dipendenti assenteisti (vi ricordate lo scandaloso episodio della notte di Capodanno?) sono tutti fattori che tengono lontano gli investitori. “Se avessi la bacchetta magica vorrei rottamare i 700 milioni di appalti di Ama (rifiuti) assegnati senza appalto, il 90 per cento dei due miliardi di forniture a trattativa privata Atac ( trasporti) senza dimenticare i 26 milioni di debiti di Zetema (cultura e turismo) che gestiscono uno dei patrimoni storici più importanti del mondo” si sfoga Maurzio Stirpe presidente Unindustria.
Nel giugno scorso il Corriere della Sera pubblicò una grande inchiesta in tre puntate: “Se questa è una capitale”. Tra i tanti dati negativi che emergevano (rifiuti, trasporti, sicurezza) c’era il balzo impressionante delle spese correnti del Campidoglio, passate dai quattro miliardi e mezzo del 2011 ai cinque del 2012 ai quasi sei del 2013. Un fiume di denaro pubblico che non solo non ha migliorato i servizi ma ha anche attirato a Roma una consistente malavita che l’inchiesta Mafia capitale ha portato alla luce.
L’altro dato impressionante è che le società pubbliche sono ormai a quota ventisei, più una miriade di controllate: oltre 50 quelle di Acea (energia e acqua), Ama e Atac. I tre “big” delle municipalizzate, contano 31.338 dipendenti, ossia l’85% del personale di tutte le partecipate comunali (37mila dipendenti circa). Diecimila dipendenti in più rispetto a quelli degli stabilimenti Fiat in Italia. Dal conto, bene sottolinearlo, sono esclusi i 25mila dell’amministrazione comunale.
Se questa dunque è solo una parte dei problemi (pensiamo alla paradossale vicenda della linea C della metro, la più cara del mondo e ancora ben lontano dall’essere conclusa) la questione politica nodale è proprio quella della qualità degli amministratori: i partiti non sono riusciti a creare negli anni una classe dirigente all’altezza. Che la città oggi sia così prostrata non è dunque frutto del caso. Né totalmente colpa di Mafia capitale. I romani si meritano una campagna elettorale all’altezza dei loro problemi.
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