“Non piangere, non ridere, ma capire” era solito affermare Spinoza, grande maestro del pensiero morale. Anche di fronte al problema migratorio ci sono coloro che vedono in esso la fonte di tutti i mali dell’Europa, primo fra tutti il terrorismo, e costoro vengono bollati come “populisti”; d’altra parte non pochi sono consapevoli dell’importante necessità di regolare, cioè governare, questo fenomeno che può diventare dirompente ai fini di una piena, serena e costruttiva convivenza civile: costoro vengono classificati come “buonisti”; pochi cercano di capire le cause e trovare rimedi per gestire l’accoglienza in termini di solidarietà, così com’è nella tradizione dell’umanesimo europeo.
I “populisti”, con il loro rozzo gergo, con i loro slogans sguaiati, con i loro richiami alla crociata contro i “forestieri” aumentano l’ostilità che si traduce in difficoltà crescenti per creare un’autentica politica delle migrazioni. Sono abili, parlando alla pancia della gente, d’impadronirsi con cinica disinvoltura ai fini elettorali di consensi che, se fossero al contrario positivi, propositivi ed attuabili, potrebbero contribuire alla formazione di leggi che possono ben regolare questo fatto epocale, tanto più che anche il nostro paese ha bisogno di manodopera per quei lavori che gli italiani rifiutano.
I “populisti” rappresentano gli immigrati come degli approfittatori del nostro sistema sociale, dei ladri di posti di lavoro, di coloro che minacciano la nostra identità, degli estremisti religiosi, dei terroristi potenziali.
I “buonisti” regolano il fenomeno senza averne una visione ampia, lungimirante. Confondono il diritto ad emigrare con il diritto ad un’accoglienza dove tutto è possibile e generano nei richiedenti asilo aspettative di solidarietà illimitata, anche quando quest’ultimi si rifiutano ostinatamente a cooperare nella raccolta delle impronte digitali o quando le autorità del paese di prima accoglienza non convalidano la fondatezza della loro pretesa e si danno alla “clandestinità”, commettendo talvolta gravi reati.
La questione migratoria odierna va collocata nel periodo storico che stiamo vivendo e che non è in alcun modo paragonabile con le ondate migratorie del passato. Secondo i dati di The Migrants Files (giugno 2015) i paesi dell’Unione Europea hanno accolto nel 2013 un milione e mezzo di migranti extra-comunitari. Negli ultimi tre anni le guerre che insanguinano la Siria, l’ Irak, la Libia, l’Afghanistan, lo Yemen, la Somalia e il Sudan hanno ampliato il fenomeno migratorio. Libia, Turchia e Giordania accolgono più di quattro milioni di rifugiati.
Accanto a queste cifre degne di lode, occorre esporre quelle meno nobili: gli scafisti, sempre secondo questo rapporto, avrebbero intascato dal loro fosco giro d’affari almeno 16 miliardi di euro, mentre gli stati membri per espellere i non aventi diritto d’asilo avrebbero speso circa undici miliardi e due miliardi per rinforzare le frontiere interne ed esterne.
Scoperta la rotta balcanica, la Grecia, sommersa da una grave crisi economica, ha subito un’ulteriore crisi umanitaria.
Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi e quelli più recenti alla metropolitana e all’aeroporto di Zaventem, l’Europa (cioè, i ventotto governi dell’Unione: occorre sottolinearlo!) ha risposto alle minacce della chiusura delle frontiere di alcuni paesi dell’Unione siglando un accordo con la Turchia, paese d’imbarco dei profughi, che prevede un aiuto economico al governo di Ankara di tre miliardi di euro (che potrebbero aumentare a sei!), l’accelerazione del rilascio dei visti d’ingresso in Europa per i cittadini turchi, il rilancio delle negoziazioni per l’adesione della Turchia all’Unione Europea.
“Umiliante” ha definito questo accordo il segretario di stato vaticano cardinal Parolin. Per quel poco che possono valere le mie parole, aggiungerei che l’accordo è anche demoralizzante per tutte le organizzazioni non governative e le associazioni di volontariato, nonché per tutti gli europeisti convinti, mentre è incoraggiante per la Turchia, paese di incerta democrazia, in cui vengono calpestati diritti fondamentali e da cui fuggono cittadini che sono perseguitati, talvolta torturati, a causa delle loro idee politiche.
L’accordo non risolverà il problema. Lo sposterà in Libia, dove gli scafisti regnano sovrani dopo la caduta del regime di Gheddafi e dove manca un governo unitario legittimo.
Il nostro giovane presidente del Consiglio si è affrettato a dichiarare intempestivamente che anche l’Italia chiederà all’Europa, nel caso che essa diventasse luogo di approdo per migranti provenienti dalla Libia, di applicare l’accordo siglato con la Turchia. Forse nessuno dei suoi consiglieri gli ha spiegato che cio’ è impossibile perchè, come recita l’art. 33 della convenzione di Ginevra del 1951 all’art. 33 “nessuno stato espellerà o respingerà in qualsiasi modo un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza o della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni pubbliche”. La Libia, attualmente, non offre le garanzie descritte dalla convenzione di Ginevra e, pertanto, l’Italia non potrà respingere in questo paese i richiedenti asilo.
È vero: la convenzione di Ginevra è un istituto pensato, nel lontano 1951, in piena guerra fredda per accogliere individui e non già intere comunità. Occorre partire da qui per rivedere gli accordi di Dublino del 2003 e quelli anteriori di Schengen.
Tra i “populisti” e i “buonisti” c’è bisogno oggi più che mai di politici accorti che, nel nome degli interessi nazionali hanno finora eluso gli impegni rivolti ad un’autentica unità europea. L’aforisma di Jean Monnet sulla necessità di “unire gli uomini” invece di “creare coalizioni tra Stati” è oggi più attuale che mai.
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