È stata indetta qualche settimana fa dalla Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) la Giornata della primavera delle università: un grido di allarme sul rischio perdita di competitività internazionale.
La Crui presenta un decalogo di punti che esplicita il valore di un sistema universitario efficiente: più laureati vuole dire minor disoccupazione, vuole dire salari più alti, territori più ricchi e molto altro; allo stesso tempo evidenzia il trend negativo degli investimenti nell’università italiana, in controtendenza con i maggiori paesi europei e del resto del mondo, le scarse risorse per il diritto allo studio, il livello non soddisfacente di remunerazione di docenti e funzionari amministrativi del settore, il trend negativo delle iscrizioni universitarie nel nostro Paese.
Si parla oggi di “terza missione” del sistema universitario: l’applicazione diretta della ricerca al tessuto sociale e produttivo per una crescita complessiva della società con una attenzione particolare alle ricadute positive per le imprese.
Possiamo dire: evviva!
Ci siamo finalmente accorti di quanto sia importante lo stretto legame tra il mondo accademico/formativo e quello della vita dell’impresa, del tessuto economico del Paese.
L’ università Carlo Cattaneo Liuc di Castellanza fu fondata 25 anni fa da un folto gruppo di imprenditori del Varesotto proprio con lo scopo di creare figure professionali adatte al sistema delle imprese, alle loro esigenze di sviluppo e competitività.
Da allora in Liuc la ricerca del continuo adattamento della formazione alle richieste del mercato del lavoro è la direzione principale di ogni scelta strategica.
Ma anche Liuc, che è una università “libera”, dove il contributo ministeriale alla attività svolta si riduce a pochissimi punti percentuali del valore totale del giro d’affari generato, svolge la propria attività in un sistema di norme rigide, autoreferenziali, spesso di tipo bizantino imposte dal sistema ministeriale pubblico al quale anche le realtà “libere” sono comunque obbligate ad attenersi.
Insegnare ai giovani studenti cosa significhi “competere” sarebbe probabilmente più efficace in un sistema che permettesse anche alle singole Università di confrontarsi in maniera più libera, più orientata agli sviluppi del mercato (oggi necessariamente inteso in senso internazionale) piuttosto che alla salvaguardia di un sistema di corporazione certamente datato e inefficiente.
Innovazione e internazionalizzazione sono termini che, per chi quotidianamente fa impresa, da anni sono diventati assolute priorità.
Se vogliamo innescare un circolo virtuoso che permetta anche di creare risorse per investimenti importanti nel campo della istruzione universitaria non possiamo prescindere da un processo di profonda innovazione del sistema universitario stesso. Un sistema che guardi costantemente alla adeguatezza della formazione rispetto agli sviluppi del sistema economico, che lasci maggiori gradi di libertà agli atenei, che sia in grado di fornire una visione “internazionale” ai giovani laureati.
Una visione che non significhi solo permettere loro di assaporare la possibilità di una carriera all’estero ma che formi futuri imprenditori e manager capaci di creare e far crescere, in competizione con il mondo intero, in primo luogo le imprese del nostro Paese.
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