“I romani? Parlano, parlano, parlano, non ascoltano e non fanno mai niente”. Il mio interlocutore, persona affidabile per conoscenza dei problemi ed equilibrio nei giudizi, così ha sintetizzato presenza e guida della città eterna di una catena di sindaci che hanno concorso all’incredibile degrado di un riferimento mondiale dell’umanità.
“Ecco, forse un sindaco espertissimo di Protezione Civile, potrebbe essere il punto di svolta di una storia davvero indecente. E, per favore, non dirmi che qui a Varese con la Lega avete fatto venti anni di sonno. Magari avessimo dormito così noi a Roma!”.
Sembra che le incursioni nella Capitale dell’alternativo Salvini non abbiano poi causato i disastri denunciati dai suoi oppositori dell’area di centrodestra, ma è pur vero che a fronte del disastro urbano di Roma, per anni tenuto nelle retrovie delle grandi battaglie politiche nazionali, sindaco e giunta bosini non meritino certe comparazioni, in primo luogo relativamente a vicende finite davanti ai magistrati.
Lega e Centrodestra una volta conquistato Palazzo Estense e trovati gli assetti giudicati idonei per il controllo del territorio non hanno ricevuto impulsi e stimoli da progetti, piani, personaggi e dal grande respiro di una vivacità culturale che è fondamento di ogni impresa.
La Prima Repubblica aveva visto una Varese competitiva grazie all’apporto di cittadini vincenti nella vita e desiderosi di contribuire alla crescita collettiva. Di rilievo la collaborazione del mondo delle professioni, eccezionali gli apporti sul piano nazionale di singoli eletti e poi la capacità dell’intera classe politica di essere laboratorio di svolte e nuovi percorsi. Tangentopoli ha sgonfiato oltre misura le gomme del bolide varesino, la Lega dilagante ha insistito con un passatismo di simboli, ricordi e identità a dir poco ridicoli: la grande realtà del lavoro, del fare impresa, di una cultura che era stata avanguardia mondiale con i suoi aerei, con i telai e con il trionfo dell’industria del “bianco” è stata ignorata a vantaggio del palio degli asnitt di Bobbiate, di una vicenda da presepe che aveva avuto certamente spessore e ruolo, ma che non poteva più reggere dopo i primi entusiasmi dei vincitori e i giorni del patibolo riservati ai vinti.
È così che Varese è andata verso le tante sfumature di grigio di governi che non potevano manovrare compiutamente non disponendo di mezzi adeguati e di uomini allenati ed esperti. Lo stop al rilancio, a una nuova crescita della comunità è venuto da situazioni incredibili: Varese a livello nazionale e regionale poteva contare su personaggi di grande rilievo che tenevano fieramente banco per la soluzione di molti problemi legati ai loro incarichi, ma che praticamente non riguardavano mai il nostro territorio. E sindaci, ministri, deputati e consiglieri vari sempre zitti e obbligati all’obbedienza a Milano e Roma davanti a errori e scippi che imperversarono anche con i governi Berlusconi. Sappiamo che succede oggi.
Tra le sfumature di grigio evitabili il rifiorire in alcuni ambiti della tendenza a vivere di politica, un’arte ai nostri giorni, un prezzo che anche il migliore dei leghisti a volte è costretto a pagare agli alleati. Nulla di disonesto e tuttavia da evitare perché conta pure l’immagine.
Infuria la giostra dei candidati a sindaco. Mica sempre si trova un esordiente come Raimondo Fassa. C’erano una volta i sindaci che prima erano stati consiglieri e assessori. Sono passati alla storia. E una volta la città garantiva un Consiglio comunale di notevole profilo e pure guide strepitose per la sanità.
Abbiamo il diritto pieno, assoluto di lamentarci. Non ci conforta il fatto che i romani guardino con invidia alla nostra Varese.
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