Al nuovo sindaco di Varese. Un suggerimento anche per il programma, ma lo devo un po’ argomentare. La mia idea non è “o così o niente” ma: “Se non incominciamo a ragionare seriamente in modo diverso”, continueremo ad applicare ricette di cui abbiamo già visto molti fallimenti. Vorrei anche fugare il dubbio, assolutamente legittimo, che io voglia fare il provocatore o che voglia appellarmi a nostalgie vetero-comuniste. Sono anzi molto realista e pragmatico.
L’idea che ho in mente da tempo e di cui ho già parlato con diverse persone, come tante idee nuove di cui la storia ci ha dato conto, può diventare normale e ragionevole se esaminata senza preconcetti ideologici.
Non ditemi che sono banale se ricordo che, se una regina non avesse dato credito a un visionario (è vero che era un po’ interessata), forse oggi non ricorderemmo Cristoforo Colombo e saremmo ancora nella convinzione che non esista un nuovo mondo…
Il tema riguarda la casa, per la quale si è manifestato anche nelle piazze e che mi sembra continui a essere un problema che affligge molte famiglie italiane. Mi era tornato alla mente con forza nell’estate 2014, durante il pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Attraversai, all’inizio della Meseta, un paesino di nome Cireñuela. Era una località quasi presente solo sulla carta, ma fu inventata dai geni dell’investimento immobiliare costruendovi un paesone, forse di seconde case, con decine di palazzine e diverse centinaia di appartamenti. Fu anche reso attraente con un bel campo da golf. Risultato: oggi è un villaggio fantasma perché, fatti salvi alcuni aficionados del golf che raggiungono i suoi prati con i quattro o cinque lussuosi Suv che ho visto lì parcheggiati, non c’è anima viva che lo abiti e tutte quelle case non servono proprio a nessuno. Emblema di causa ed effetto di una crisi spagnola che ha profuso enormi risorse senza produrre un beneficio reale per i cittadini che durasse nel tempo.
Il problema della casa per i cittadini italiani è stato affrontato con investimenti pubblici gestiti da aziende speciali (le Iacp prima, le Aler poi…), utilizzando anche denaro prelevato direttamente dalle buste paga dei lavoratori (vedi la Gescal…). La storia ci ha consegnato però evidenza che i grandi investimenti non sempre generano circoli virtuosi di denaro e di lavoro e, anzi, hanno spesso contribuito a depredare il territorio con cementificazioni irreversibili.
La proposta parte da un dato di fatto di cui conosco solo qualche numero, e nemmeno aggiornato, ma non importa, ciò che serve è rilevare un fenomeno e una tendenza reali a Varese e non solo. Sto parlando degli appartamenti sfitti nelle nostre città: a Varese oltre 3.000 su 80.000 abitanti, a Milano oltre 35.000 su 1.350.000, a Genova 25.000 su 580.000 ecc. Assumendo pur grossolanamente i rapporti, credo si possa affermare che in altre città lombarde e italiane il fenomeno sia altrettanto rilevante. Se questi sono i dati, la domanda è: perché un ente pubblico, per esempio la Regione, ma anche i Comuni, non potrebbero farsi promotori e garanti, presso gli enti preposti all’edilizia popolare, di un accompagnamento alla gestione per fini sociali di tutte queste case?
Tutti gli appartamenti sono nella disponibilità di chi evidentemente può farne a meno. Anzi, di chi è costretto a, oppure sceglie di, goderseli accollandosi una tassa IMU (o come diavolo si chiamerà, quando non riesce ad eluderla), da seconda casa.
Possiamo affermare che, in pratica, abbiamo città piene di case vuote, che sono spesso il rifugio dei risparmi di tanti cittadini che tentano di proteggere il loro patrimonio dalle bufere dei cicli economici. Per contro, esiste una massa di persone e di famiglie che aspirano ad abitare una casa dignitosa, ma che non dispongono di risorse per acquistarla o per pagarne affitti spesso elevati. L’unica alternativa sono le lunghe attese per mendicare un alloggio (si parla quasi sempre di anni) davanti agli sportelli di Aler e Servizi sociali.
Ho parlato dell’idea con vari amici e politici impegnati al servizio della comunità e ho già avuto l’eco di qualche apprezzamento. Mi piace pensare che il passa-parola che cerco sempre di alimentare stia funzionando bene ed è anche lo scopo di questo intervento. Insisto nel dire che per le scelte coraggiose bisogna creare conoscenza e coscienza del problema per raggiungere una mentalità condivisa e non dirompente.
La proposta è la seguente. L’ente investito (Comune, Aler…) per fornire un’abitazione a chi ne ha bisogno, potrebbe dedicare le proprie energie a ben gestire l’ingente patrimonio immobiliare sfitto delle città, anziché continuare a spendere risorse enormi per costruire nuove case.
Conoscendo qualche amico in cerca di un alloggio, ho curiosato nelle “graduatorie” degli aventi diritto a Varese e credo si possa affrontare il problema a Varese rimettendo in circolo 3-400 appartamenti (di cui un centinaio di “riserva” e per rotazioni temporanee) dei circa tremila sfitti.
Sento subito dire: “Bello! Lo dici perché non parli del tuo. E la proprietà privata?”.
Serve ovviamente incentivare i legittimi proprietari a rendere disponibili gli immobili garantendo loro nello spirito e nei fatti il buon uso degli stessi. È vero che la cultura della legalità e del rispetto per i beni degli altri non è sempre stata limpida (io abito in un quartiere con numerose case popolari ….). È fondamentale accompagnare e “educare” l’inquilino al buon uso dell’alloggio che riceve in prestito da altri per l’uso personale. Al legittimo proprietario deve essere altresì garantita un’equa remunerazione e anche il mantenimento in buono stato del bene che mette a disposizione della comunità.
Lascio a ciascuno elencare tutti i problemi e gli eventuali svantaggi collegati a questa visione dei beni privati e comuni: sono d’accordo su tutti, nessuno escluso.
Una politica del genere non è di immediata applicazione. Le difficoltà ci sono, ma c’è sicuramente un modo per affrontarle seriamente per trovare regole e soluzioni che possano funzionare. I vantaggi, a mio modo di vedere, sono ben superiori ai problemi da risolvere. Per la collettività e per gli stessi proprietari. Proviamo a pensare ai possibili miglioramenti e chiediamoci onestamente se non siano sufficienti a compensare e ad annullare tutte le complicazioni che giustamente si possono reclamare.
Ecco qualche possibile vantaggio:
– Mobilitazione di meno risorse economiche. Qualche politico potrebbe dire che forse questo é un problema, ma così … si smaschera da solo.
– Recupero, buon uso e manutenzione di immobili destinati comunque a deperire e “sottratti” al godimento di chiunque.
- Inizio di una nuova “comune visione e desiderio del benessere sociale”, dove alcuni possono offrire alla comunità ciò di cui dispongono. Altri invece li ricevono e possono divenire parte attiva e diligente per l’utilizzo di mezzi che sono di altri cittadini e non di un indistinto ente pubblico, verso il quale spesso non si nutre riconoscenza e tantomeno rispetto.
- Recupero del senso del “bene comune” e dei “beni comuni” favorendo il passaggio dall’investimento speculativo (affitti troppo elevati) o conservativo (appartamenti sfitti) ad una visione della funzione sociale anche dei mezzo privati.
- Creazione di una salutare osmosi sociale fra strati di popolazione benestante e di famiglie con più modesta disponibilità economica che, con la politica delle case popolari degli ultimi 50 anni, sono state confinate nei rispettivi “ghetti”, prestigiosi per gli uni e marginali per gli altri.
– Recupero della vivibilità di parte dei centri storici e di quartieri dove una fetta del patrimonio immobiliare è lasciata all’abbandono.
- Garanzia per la remunerazione al proprietario in caso di difficoltà dell’inquilino con l’istituzione di un fondo di garanzia alimentato da una quota parte dei fitti. Un’incentivazione adeguata per il proprietario è indispensabile per far mettere a disposizione le case senza alcuna forma di coercizione. Ad esempio con una politica di sconti e detrazioni fiscali per chi ristruttura o mette a norma le abitazioni, oppure premendo sulla tassa comunale se l’immobile richiesto per l’utilizzo comune è sfitto da più di due anni …
- Migliore integrazione nella società delle famiglie/persone con problemi. L’esperienza che conosco direttamente mi dice che, costruendo case popolari (anche bellissime) in appositi quartieri, non si dà la possibilità ai molti disagiati di uscire da modelli comportamentali e di vita a volte negativi. La vita nel tessuto sociale “medio” e “normale” (non “migliore” !) della città dà la possibilità di assimilare comportamenti e stili di vita più inseriti e rispettosi della convivenza civile.
– Alcuni comportamenti che deteriorano l’armonia comune (prevaricazioni, danneggiamenti, piccola delinquenza …) sono spesso praticati da chi proviene dalle periferie popolari a danno dei quartieri centrali e tanta campagna elettorale vi ha trovato motivi di consenso. Sicuramente diminuirebbero, liberando energie sociali, politiche ed economiche verso il buon vivere bene.
Utopia? Vaneggiamenti? Reminiscenze sovietiche? Chiamatele come volete.
Ricordate la favola del re nudo? Solo un bambino ebbe l’ingenuità di dire la verità, perché non era condizionato e prevenuto.
Allora bisogna solo credere che al di là dell’oceano il nuovo mondo esista. Non limitiamoci ad osservare l’orizzonte accontentandosi di concludere che “Se non si vede non può esistere”.
Tentiamo, però, di aprire e di allargare il modo di pensare, altrimenti ci rintaneremo sempre più in un angolo, costretti a tirare il nostro pezzo di coperta sempre più stretto, per sottrarlo magari ad altri bisogni veri.
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