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Opinioni

UN CALCIO ALLE REGOLE

CESARE CHIERICATI - 25/03/2016

Il diverbio Bonucci-Rizzoli al derby della Mole

Il diverbio Bonucci-Rizzoli al derby della Mole

“Gli arbitri di calcio italiani sono i migliori del mondo”, questo mantra patriottardo ricorre da sempre nelle cronache radio televisive e in quelle dei giornali e si ripresenta puntualissimo ogni volta che sui terreni di gioco accade qualche episodio controverso che di fatto finisce per indirizzare gli esiti di una partita. Come dire per favore non spariamo sul pianista nonostante la stecca evidente. E’ accaduto in passato quando i giudici erano tre (direttore di gara e due guardalinee) e continua ad accadere anche oggi che sono diventati sei (direttore di gara, due guardalinee, due arbitri di porta e il quarto uomo). Da quest’anno c’è anche la tecnologia applicata alla porta che decreta in modo inappellabile il gol non gol, cioè se il pallone ha varcato o meno per intero la linea di porta. Nonostante questo potente armamentario gli errori non solo non sono stati cancellati ma neppure sono vistosamente calati salvo quelli legati, appunto, al gol non gol. Il che dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, quanto sia difficile essere giudici in una partita di calcio di alto livello dove si deve applicare, nel giro di pochi secondi, un regolamento complesso, i cui criteri interpretativi, essendo in perenne, sciagurato divenire (vedi regole del fuorigioco), finiscono per complicare ancora di più il lavoro dei fischietti.

L’ultimo episodio controverso, articolato in due distinte fasi di gioco, è accaduto domenica scorsa durante il derby della Mole Torino – Juventus.

Si era sul 2 a 0 in favore dei bianconeri allorché per un fallo evidente in area di Alex Sandro ai danni di Bruno Peres, l’arbitro Nicola Rizzoli assegna un calcio di rigore ai granata. Apriti cielo, Leonardo Bonucci, sciroccato capo manipolo della difesa juventina, si avventa su Rizzoli e appoggia minacciosamente la sua testa a quella del direttore di gara che sta cercando di chiarirgli le ragioni delle sua decisione. A quel punto Rizzoli avrebbe dovuto, senza esitazioni, cacciarlo dal campo invece sceglie la strada buonista ed evita il provvedimento che avrebbe lasciato in dieci i campioni d’Italia e dato fiato alle residue speranze di rimonta granata. Non solo, la sua scelta torna a far aleggiare sull’Olimpico i fantasmi, peraltro mai archiviati, della “storica sudditanza psicologica” degli arbitri nei confronti della Juve.

Il rigore viene trasformato in gol e il Toro va sul 2 a 1 ma poco dopo Maxi Lopez, su lancio sempre di Peres, batte Buffon ma l’assistente segnala un fuorigioco inesistente (peraltro difficilissimo da vedere) e Rizzoli annulla. Sarebbe stato il gol del pareggio e nessuno può dire che piega avrebbe preso l’inerzia della partita.

Per i granata i conti non tornano affatto, ancora una volta si sentono “cornuti e mazziati” come si dice a Napoli. Scampato il pericolo la Juve, oggettivamente assai più attrezzata in ogni reparto del Torino, dilaga e il derby, la partita con il più alto valore simbolico, va ancora una volta ai bianconeri. In questa vicenda, del resto non dissimile da altre capitate nella lunga storia della serie A, ciò che è difficile accettare, è che una pletora di giudici (sei come ricordavamo prima), almeno nel caso Bonucci, non sia riuscita a prendere la giusta decisione. Forse vedendo le esitazioni del collega, l’arbitro di linea avrebbe dovuto rammentargli il regolamento o, più malignamente, si può anche pensare che lo abbia lasciato sbagliare in proprio visto che il buon Rizzoli gode fama (meritata sul campo) di essere tra i migliori fischietti del mondo. Episodi come questo oggettivamente non giovano al calcio, gioco di straordinario pathos emotivo proprio in virtù della sua assoluta imprevedibilità, perché inducono a pensare che anche gli arbitri siano un fattore imponderabile, una variabile indipendente, alla stregua di una punizione che si stampa sulla traversa. Al contrario i fischietti, cui va concesso a priori un credito di buona fede, devono essere, per quanto possibile, un elemento di razionalità e di equilibrio dentro la partita di calcio che, seconda la storica definizione del grande sociologo Desmond Morris, è “una guerra simulata”, simulata finché si vuole ma pur sempre guerra come lo stesso lessico calcistico dimostra.

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