La storia continua e finisce con essere – più o meno – interminabile. Stavolta tocca alla bellissima (e bravissima) regina del tennis Marija Sharapova, plurima vincitrice di tutto e di tutti al femminile, ovviamente.
Si parla di doping. Una botta che le è piovuta sulla testa con la forza e la velocità di un fulmine proprio come la potenza dei suoi diabolici servizi, o del suo smash, del drive dei diritti o rovesci e chi più ne ha più ne metta.
Bellissima e bravissima, si diceva, ma con la botta di un’accusa per doping essendosi valsa di un medicinale contenente una sostanza che, almeno così si dice, dall’inizio del 2016 è stata considerata dopante. Solita la giustificazione da sintetizzarsi nell’oramai rituale “proprio non lo sapevo, si tratta di una cura che seguo da almeno una decina di anni per un malanno”.
Se partendo dall’asserito presupposto che il medicinale in questione sarebbe stato inserito nell’elenco delle sostanze dopanti solo dall’inizio del 2016 relativamente a quanto è successo in precedenza alla Sharapova non può essere fatto addebito alcuno. Niente di niente relativamente ai suoi trionfi né ai suoi rilevanti guadagni così che sostanzialmente la divina sovietica non avrà danni nella sua storia del tennis e tanto meno di natura economica. Non finirà insomma nella più squallida miseria.
Resta fermo, dunque, lo si ripete, che eventuali riflessi potranno riguardare solo la sua attività dal 2016 e poiché l’anno in questione è appena cominciato diciamo subito che dalla situazione la sovietica finisce – al momento – con avere più che altro un incremento di pubblicità.
Il resto si vedrà anche se pare fin poco probabile che da qui in poi la campionessa possa risentire più di tanto della mancanza del suo medicinale che sinora nessuno si era mai sognato di inserire nella black list delle pozioni.
Forse è il caso di dire molto rumore per nulla o qualcosa di simile.
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