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Attualità

DECLINO DI FIDUCIA

ROBI RONZA - 18/03/2016

trumpLe due  campagne parallele per la scelta dei candidati  democratico e repubblicano alle prossime elezioni presidenziali americane richiamano comprensibilmente grande attenzione in tutto il mondo. E questo sia per la loro importanza obiettiva e sia per il loro carattere spettacolare, “televisivo” di grande cavalcata da un estremo all’altro di un Paese che ha dimensioni continentali. Tuttavia molto di ciò che sta accadendo nella circostanza non si spiega se non si tiene conto del nuovo orizzonte socio-politico complessivo degli Stati Uniti, assai mutato rispetto a quello anche soltanto di pochi anni fa.

Confermando sensazioni peraltro palpabili, alcune grosse ricerche e studi avviati negli Usa in vista dell’anno del voto per il nuovo presidente hanno confermato che la fiducia nella democrazia e analogamente la fiducia in se stessi e nel futuro — due tradizionali pilastri della mentalità comune degli americani — risultano essere in marcato declino.  Secondo un sondaggio commissionato dalla Cnn, nello scorso dicembre il 69 per cento degli americani risultava “very angry” (molto arrabbiato, o meglio molto insoddisfatto) oppure “abbastanza insoddisfatto” di come vanno le cose negli Stati Uniti. Il risultato del sondaggio corrispondeva esattamente a una ricerca analoga commissionata un mese prima dalla catena televisiva Nbc e dal Wall Street Journal, il principale quotidiano economico del Paese. Una tendenza che, secondo un sondaggio del febbraio appena trascorso, risulta in crescita rispetto all’anno precedente.

Cercando di analizzare le ragioni di tale diffuso disagio c’è chi le ha sintetizzate come segue:

1) il ristagno del reddito dei ceti operai e dei ceti medi, che da circa quindici anni non cresce più e anzi tende a diminuire mentre decrescono pure la qualità delle occasioni di lavoro e le prospettive di carriera. Fino al punto che il recente dimezzamento da circa il 10 a circa il 5 per cento del tasso di disoccupazione non ha avuto gli effetti che ci si attendevano sul rilancio dei consumi.

2) L’esito della profonda trasformazione demografica messa in moto  dai 65 milioni di persone che dal 1965 ad oggi sono immigrate negli Usa, e dai loro discendenti.  Dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso in avanti, mentre tramite le loro università e le loro fondazioni diffondevano nel mondo paura per la crescita demografica, gli Usa hanno invece fatto al loro interno una forte politica di sviluppo demografico, passando dai meno di 200 milioni agli attuali quasi 320 milioni di abitanti. Benché anche le famiglie di discendenza europea siano negli Stati Uniti molto più fertili delle attuali famiglie in Europa, molta parte di tale crescita si deve ad ogni modo all’immigrazione non-europea, per lo più latinoamericana e asiatica. In quarant’anni gli americani bianchi di origine europea sono scesi dall’84 al 62 per cento. Di questo passo in un futuro non lontano negli Usa l’insieme dei discendenti di europei verrà superato dalla somma dei cittadini di origine non-europea, i più numerosi fra i quali sono i latinoamericani che fra l’altro stanno imponendo lo spagnolo come seconda lingua degli Stati Uniti. Di qui un certo spaesamento degli americani adulti di discendenza europea, che comunque fino ad oggi sono la maggioranza della popolazione.

3) La crescente sfiducia verso il governo federale, e in genere verso il ceto politico e le istituzioni federali, insomma verso “Washington”, giudicato un blocco di potere capace solo di difendere i propri interessi e non quelli del popolo americano. Sei americani su dieci ritengono che il governo federale abbia “troppo potere”, e una percentuale compresa tra l’89 e il 72 per cento risponde di fidarsi del governo federale soltanto “qualche volta” oppure “mai”.

4) L’idea che la super-potenza degli Usa stia venendo meno. Secondo un sondaggio del Pew Research circa il 70 per cento degli americani pensa che gli Stati Uniti stiano perdendo peso nel mondo. Dal 2012 al 2014 il numero degli americani i quali pensano che il loro Paese sia il primo al mondo è diminuito dal 38 al 28 per cento.

5) Una crescente polarizzazione degli schieramenti politici. Alla rispettiva scelta di campo in sede politica si attribuisce sempre maggiore rilievo rispetto alla comunque appartenenza alla patria americana. Inoltre in ciascuna della due grandi aree politiche aumenta il peso delle posizioni più estreme rispetto a quello delle posizioni di centro.

È in questo quadro che si spiega il successo di un personaggio come Donald Trump, che punta senza scrupoli ad assumere la rappresentanza politica di tale diffuso disagio sociale ed economico facendo all’elettorato che lo patisce esattamente i discorsi che esso si attende.  È un elettorato  che al momento desidera soltanto gridare la propria protesta scavalcando un ordine costituito massmediatico che quando  non lo può ignorare lo dileggia. E Trump si presta con cinica efficacia a dargli voce. Siamo dunque di fronte a una crisi obiettivamente drammatica della democrazia negli Usa, ormai molto lontana da quella sua vitalità primigenia di cui nei primi decenni del secolo XIX Alexis de Toqueville aveva scritto con tanta ammirazione  nel suo La democrazia in America. Dobbiamo augurarci che gli Stati Uniti possano uscirne sia per il loro bene che per il nostro. Frattanto in tale quadro come europei dobbiamo cominciare a renderci conto che non possiamo più continuare a delegare agli Stati Uniti anche le nostre responsabilità. L’Europa deve insomma riscoprire la vocazione cui Papa Francesco fra l’altro ha richiamato di recente.

www.robironza.wordpress.com

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