(C) Ma va! Tranquillizza pure il direttore, che mentre stiamo scrivendo insieme l’apologia, ascoltiamo il finale della partita, assolutamente solidali con la Juve.
(S) Accidenti proprio adesso il 2 a 2! Altro che gufo, lo sei tu! Non c’è come dire che non vuoi una cosa, per farla accadere. Vediamo di arrivare ai rigori, se non sono bastate le deviazioni, ci vuole il rigore, quello vero, quello che manca a tutto il Paese, a cominciare dal rigore della parola, il dire deve corrispondere al fare. Invece vedo solo deviazioni, a destra e a sinistra, D’Alema versus Renzi e Meloni versus Bertolaso, Meloni omaggiata e sostenute dalle donne della parte avversa.
(C) Ma questo non stupisce. Una candidatura in più nel campo avverso, può fare piacere: banale opportunismo. Quella che è una vera deviazione è la decontestualizzazione del linguaggio usato nella politica.
(S) Decontè che?
(C) Mi riferisco alla ‘mamma’ sì, sindaco no. Un’osservazione, che sarebbe stata banale e condivisa se riferita ad un lavoro pesante o ad un’impresa sportiva o ad una spedizione nella giungla o in Himalaya, è diventata una specie di violenza maschilista. Prescindiamo pure dalla circostanza che lo stesso argomento era stato usato qualche giorno prima proprio dalla Meloni, per schermirsi dalla candidatura, quello che non ha capito Bertolaso e che Berlusconi ha ribadito, è che la politica non parla più il linguaggio della realtà, ma un suo proprio gergo che ha significati, regole sintattiche e, appunto, contesti che danno alle parole valore diverso, conferiscono potenziali emotivi, provocano reazioni istintuali e non ragionate nel pubblico.
(O) È un po’ l’effetto-stadio: parole e comportamenti sono influenzati dal restringimento del contesto ad un orizzonte ristrettissimo, tutto il resto non conta. E eeehh accidenti, passa in vantaggio il Bayern! Ma noi siamo qui, sereni e tranquilli proprio perché ascoltiamo un mezzo meno pervasivo come la radio, non siamo coinvolti personalmente dal tifo, possiamo giudicare il fatto per quello che è e attribuirgli un valore relativo, quello che merita.
(C) C’è qualcosa di più minaccioso, che ha contaminato il rapporto tra politica e popolo e che spiega la disaffezione più degli scandali. È l’abitudine del pubblico, della gente a una semplificazione emotiva, che deriva da molti aspetti sociali e culturali. Se SMS, twitter e cuoricini hanno sostituito le lettere d’amore o d’addio, non è avvenuto senza conseguenze. Torniamo ai due pesciolini giovani dell’apologia di quindici giorni fa, così omogenei all’ambiente da non avvertirne la presenza: la loro cultura è stata plasmata da internet, dai social network, dalla condivisione di immagini, anche le più banali, dalla torta del decimo compleanno al soufflé di San Valentino. E ancora: dai reality e dalle fiction, in cui trama e argomenti illanguidiscono di fronte alla creazioni di impatti emotivi, necessari, molto più che nel cinema, a trattenere lo spettatore, davanti allo schermo, proprio su quel canale e, nonostante l’inevitabile interruzione pubblicitaria, “non cambiate canale!”
(O) Ma più il pubblico è emotivamente afferrato e invece passivo criticamente, più è scaltro il produttore del messaggio, pubblicitario o politico, cui interessano le faccine felici, i pollici levati in alto, i followers, i like, le visualizzazioni. Persino nei talkshow la capacità di argomentare lucidamente e meno importante della sfacciataggine di che sa interrompere l’avversario con una battuta o semplicemente alzando la voce.
(S) È quindi avvenuto quello che temeva Nietzsche: “Non ci sono più fatti, solo interpretazioni”?
(C) Se fosse vero in assoluto sarebbe una tragedia, sarebbe l’impossibilità della verità. Dobbiamo riconoscere che la conoscenza della realtà è insidiata dall’industria “culturale” (in questo termine includo ogni genere di trasmissione informativa) come e forse più di quanto era condizionata, anni fa, dall’ideologia. E non escludo da questa valutazione l’islam radicale, che si è mostrato abilissimo nell’utilizzare la cultura semplificata della rete per diffondere un’ideologia religiosa (o se preferite, una religione politica) molto semplificata e totalmente emotiva.
(S) Tornare indietro è quasi impossibile, basta vedere il successo di Grillo, di Salvini e anche di Renzi: sono i più abili a fornire interpretazioni semplificate dei fatti, in modo da essere compresi dalle masse.
(C) Se parli di vittorie elettorali immediate hai sicuramente ragione. Chi vinca davvero, la destra o la sinistra, anche in altri Paesi, negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna è un’altra storia. Sinceramente, m’importa poco anche di Roma, Milano, Varese, Busto o Gallarate. M’importa che esista una possibilità di (ri)educarsi alla verità. Questa possibilità esiste. È nella natura stessa della conoscenza. L’assunto di Nietzsche si annulla in se stesso. Nel suo enunciarsi diventa un ‘fatto’, nel suo pretendere di essere ‘vero’ è costretto a confrontare l’asserita significanza dell’enunciazione con un contesto di significati, senza dei quali anche l’assunto perderebbe ogni senso, riducendosi a flatus vocis. In termini semplificati: l’interpretazione esige la verità al modo stesso che la esige la menzogna: la possono coprire o cercare di scoprirla, ma non possono esserne indipendenti.
(O) Intendi dire che della verità si può fare esperienza prima di ogni interpretazione?
(C) L’esperienza è il solo modo umano di raggiungere quella forma di verità accessibile alla natura umana, ma di questo e della possibilità educativa che apre siamo costretti a parlare troppo più ampiamente. Quindi, forse, una prossima volta. Voglio solo ricordare che la natura dell’esperienza è tale che si trae beneficio, caro direttore, anche dal dolore di una (immeritata) sconfitta.
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