Ambiente, Cultura e Università; questi, in stretto ordine alfabetico, sono i pilastri su cui dovrebbe basarsi il rilancio di Varese. Una visione di città del futuro non può essere lasciata all’improvvisazione o essere pensata come tanti spot scollegati tra loro; deve rientrare in un piano coerente dove ogni singola componente è collegata in modo sinergico all’altra.
L’idea non è certo mia; riprendo solo una proposta,caduta colpevolmente nel vuoto, del compianto Luigi Zanzi. Una figura di spicco della vita culturale e sociale varesina degli ultimi cinquant’anni. Uno studioso super partes che non può certo essere accusato di appartenenze o quant’altro.
Una proposta seria, elaborata da un uomo che amava e conosceva profondamente la città e che fu invece compartimentata come il frutto irrealizzabile di un impertinente visionario.
Invece un dibattito sarebbe stato allora quantomeno necessario e doveroso. L’idea di avere un’università diffusa sul territorio, sfruttando le prestigiose dimore storiche pubbliche o private, con relativi parchi, per farvi le sedi delle diverse Facoltà e del Rettorato, abortì sul suo nascere.
Eppure la proposta aveva una sua logica che forse sfuggì alla mente degli allora amministratori che evidentemente avevano a cuore non una visione, bensì solo le scadenze temporali del proprio mandato elettorale.
Sordi alle vere peculiarità e alle vere risorse del territorio, si preferì dare il via alla costruzione di un Campus universitario stile yankee a Bizzozero, in una landa periferica dove di fatto la nostra università, che avrebbe dovuto portare cultura,vivacità e risorse in città, finì ghettizzata e avulsa dalla realtà varesina. Forse non si avevano alternative, forse le risorse che arrivavano erano vincolate a quella destinazione e località; certo è che si lasciò cadere nel vuoto una visione ampia e di alto profilo, capace di proiettarsi nel futuro in un disegno che teneva conto delle nostre reali peculiarità.
La reiterata proposta di fare di Villa Mylius un centro di eccellenza delle attività culinarie, un’accademia del gusto e del bello sotto l’indiscussa autorevolezza di Gualtiero Marchesi, è l’ennesima prova di una mancanza di visioni da parte della nostra amministrazione.
Non entro nel merito dell’appropriatezza della destinazione, del che ci azzecca il tema con Varese – territorio che certo non eccelle in tradizioni culinarie -. Indubbiamente però la scelta lascia molti varesini perplessi per altri motivi ben più fondati.
Nessuno mette in dubbio che il Parco e la Villa, vincolati da leggi nazionali di tutela, necessitino di interventi urgenti di riqualificazione. Nessuno può non vedere che l’edificio si sta avviando ad un rapido declino sotto l’incuria e la trascuratezza. Nessuno auspica che faccia la fine della Caserma Garibaldi o della parte storica di Villa Baragiola. Una decisone deve essere presa e in effetti pare che siano stati stanziati circa sei milioni di euro per il recupero dell’edificio. Di queste risorse tre milioni arriveranno, a quanto si legge, dalla Regione, quasi due dal Comune, uno dalla Fondazione Cariplo e mezzo milione dal privato, Fondazione Gualtiero Marchesi, che dovrebbe poi usufruire in massima parte del bene.
È evidente la marginalità economica nel progetto del privato che si troverebbe con un relativo basso investimento rispetto all’ esborso totale a godere poi di un bene pubblico. Le rassicuranti proposte del Sindaco che vede nell’operazione una opportunità di riqualificazione di un bene che andrà, secondo l’amministrazione, a vantaggio poi di tutti i varesini non convincono proprio perché l’intera dimora sarà affidata ad un privato.
Ben altra valenza avrebbe invece avuto la proposta di fare della area Mylius una Facoltà collegata all’Università dell’Insubria. Questa destinazione, che riprende idealmente quella originaria di Luigi Zanzi, era già stata esposta anni addietro dallo scrivente in un pubblico dibattito cittadino e l’allora Rettore dell’Università se ne era dimostrato interessato. Villa Mylius per vocazione del nostro territorio, per la sua locazione, per la sua tipologia di eccellenza ambientale sarebbe un’ottima sede per una Facoltà di Architettura del Paesaggio, un corso di studi che tra l’altro non sforna disoccupati, ma professionisti molto richiesti e ricercati. Questa sarebbe, come si suole dire, la giusta morte del parco e della villa; sarebbe il primo caratterizzante tassello alla mia visione di Varese2030 città in un giardino.
E accanto all’istituto universitario d’eccellenza potrebbe trovare posto un Museo del Paesaggio: Varese ha tali e tanti spunti in questa direzione che con il solo il materiale iconografico storico –pubblico e privato – esistente si potrebbero allestire intere stanze. E perché no una xiloteca che potrebbe richiamare studiosi ed appassionati da ogni dove; e che dire di una biblioteca di testi antichi e moderni botanici e del paesaggio? Anziché una biblioteca, come ventilato, di libri e ricette di cucina? E perché non pensare ad un Festival del paesaggio nel prestigioso parco anziché ridurlo a parcheggio per studenti e professori dell’Accademia del Gusto? E perché non avere una esposizione permanente di Land Art nelle ampie aperture verdi del giardino?
Varese deve fare i conti e sfruttare le proprie eccellenze: Il nostro oro lo abbiamo già in casa, perché dunque ostinarsi nella ricerca altrove di quello che non c’è?
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