Due fenomeni nuovi e di grande portata si impongono all’attenzione di tutti e in particolare delle comunità cristiane.
Il primo sono le ondate migratorie che interessano l’Europa intera e l’Italia in particolare. La lettura di questo fenomeno può essere fatta da punti di vista diversi: politico, culturale, economico. Per la chiesa ci aiuta in questa lettura l’intuizione del cardinale Martini: “L’immigrazione può significare l’ultimo richiamo della Provvidenza per risvegliare le nostre comunità”.
Il secondo fenomeno è l’apparizione sulla scena mondiale di Papa Francesco e della sua predicazione e coerenza evangelica. Questi due fatti saranno accolti dalle nostre comunità cristiane come occasione e stimolo per un rinnovato percorso alla sequela del Signore Gesù? Tra le spinte e le sollecitazioni di Papa Francesco una in particolare può determinare cambiamento e conversione nelle nostre comunità cristiane: “Quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Questo auspicio invita fortemente le comunità a interrogarsi sulla pratica della povertà e sulla capacità di accoglienza dei poveri nel cammino di fede delle comunità stesse.
A questo punto si impone una domanda: la perdita di fede in Europa e in particolare in Italia non dipende forse anche dal fatto che la Chiesa, le famiglie cristiane non hanno posto la povertà evangelica al centro della loro vita di fede? Nei decenni del benessere economico, della ricchezza accresciuta la tendenza è stata quella di condividere con i più bisognosi, oppure è prevalsa quella di spendere molto per le opere, non costruite sempre con criteri di semplicità e modestia, dimenticando la attenzione verso i poveri, ai quali solitamente vengono riservate le briciole? I pacchi di viveri delle Caritas sono senz’altro preziosi, ma pur sempre briciole.
La beatitudine dei “poveri di spirito” è per quanti si abbandonano a Dio e non attaccano il cuore a Mammona. È la fede antica e semplice dei nostri vecchi, gente povera, ma solida nella fede, che con la bocca dicevano e col cuore credevano: “Dio vede e Dio provvede”.
La storia recente, dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, ha fatto registrare che l’aumento del benessere economico e di uno stile di vita consumistico è stato accompagnato parallelamente dalla perdita del senso della fede tra la nostra gente. La fiducia nei beni materiali ha gradualmente attenuato la fiducia in Dio. Si è realizzato il detto evangelico: ”Non si può servire a due padroni”.
Le nostre comunità sarebbero pronte a interrogarsi con coraggio sul tema dell’ “uso evangelico dei beni”?
Mi pare che il desiderio di Papa Francesco spinga proprio in questo senso. Il cammino delle comunità diventerebbe quello di mettersi in stato di revisione della propria vita, delle proprie scelte nella ricerca di stili di vita compatibili con la povertà evangelica. La disponibilità interiore ad accogliere questo messaggio come dono dello Spirito aiuterebbe a trovare le strade giuste, a discernere quanto è necessario e quanto è superfluo per condividere con quelli che sono più poveri. Ci aiuterebbe a vivere quella fraternità, che ha portato i primi cristiani a mettere tutto in comune, perché nessuno fosse bisognoso.
Nella prima comunità cristiana esisteva una condizione invidiabile: “Erano un cuor solo e un’anima sola”. Una fraternità autentica, superiore ad ogni interesse personale. Era la condizione di vita di una comunità di risorti. Esiste augurio migliore per augurarci Buona Pasqua?
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