E poi dicono che il latino e il greco siano lingue morte. E che la scuola oggi sia un cattiva scuola. E che il liceo classico sia ormai superato, inattuale. Dovevate vederli, professori e ragazzi del Cairoli, mentre esprimevano tutta la loro creativa vitalità durante la conferenza “Comprendere per tradurre e tradurre per creare”, pensata e voluta dalla professoressa Cinzia Di Tondo e promossa dai Giovani pensatori varesini nell’aula magna del Collegio Cattaneo. A fare gli onori di casa, Fabio Minazzi, il quale ha indagato e proposto un’ “interpretazione della traduzione” nell’ambito della tradizione culturale e gnoseologica del pensiero occidentale.
Due le frasi citate particolarmente significative. “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”, di Ludwig Wittgenstein, ovvero “i limiti del mio mondo si possono chiamare io e realtà esterna e il mio mondo è un mondo di pensieri e parole”, quindi si capisce bene l’importanza del linguaggio che viene usato per definire i confini e i contenuti di questo mio mondo.
Secondo spunto di riflessione, la dedica del libro “Dopo Babele” di George Steiner “specialmente a tutti quelli che amano la lingua e sentono che la lingua è la forza formatrice della loro umanità. In altre parole, a chiunque fa vivere la lingua e sa che gli avvenimenti di Babele sono forse un disastro, ma al tempo stesso una pioggia di stelle sull’umanità”.
Il professor Carlo Perelli ha illustrato, nelle sue riflessioni di comunicazione intersemiotica, l’esperienza condotta con i suoi studenti di imparare a leggere in metrica la poesia latina cantando (esperimento ripetuto, con successo, anche con il pubblico presente alla conferenza stessa). Come a dire: “imparare il latino cantando” e a dimostrare che insegnamento ed apprendimento del latino possono diventare … musica. Perelli s’è poi addentrato nei misteriosi rapporti tra parole ed arte rappresentativa e tra parole e costrutti musicali.
Chi avrebbe mai sospettato, per esempio, che esiste un rapporto “gematrico” (la gematria è una più elevata forma di geometria, una geometria “sacra” per così dire) tra le lettere che compongono il nome di Johann Sebastian Bach e certe costruzioni di note in alcune composizioni del noto musicista tedesco?
Cinzia Di Tondo ha spiegato il senso della conferenza sulla traduzione come quello di esprimere tutto l’entusiasmo del lavoro quotidiano di insegnanti e studenti. “Tradurre un testo significa indagare e comprendere le scelte linguistiche dell’autore, ma significa anche attuare delle scelte personali, facendo uso di un proprio personale linguaggio e facendo riferimento ad un proprio mondo espressivo. E significa pure trarre spunto dal testo tradotto per crearne uno completamente nuovo”. E qui s’è aperto il capitolo sicuramente più entusiasmante ed inaspettato della conferenza.
“Nel lavoro di traduzione i ragazzi hanno dimostrato una vera e propria passione per la traduzione stessa, per la ricerca espressiva ed estetica. Una passione che spesso ha sorpreso e pure emozionato”. E, in effetti, sono stati veramente sorprendenti i ragazzi di V e I D e I A, impegnati con i versi di Catullo, Saffo, Prevert… (guidati anche dai professori Liudmilla Bianco e Carletto Zerba), che hanno colto tutte le potenzialità espressive delle poesie in lingua originale e la suggestività creativa che ne può derivare. Tanto che gli studenti, partendo da alcune poesie in lingua francese, hanno dato vita a poesie proprie, rivelando approfondite capacità analitiche, ma soprattutto proprie tensioni creative. Insomma, partendo dal tradotto e noto, hanno dato origine a nuove parole ed immagini, ad originali ed inedite espressioni del proprio sé.
Luisa Simonutti del Cnr ha esposto un excursus storico e filosofico della traduzione, riflettendo intorno al quesito fondamentale, ovvero se il traduttore debba essere fedele al senso preciso delle parole o al senso del pensiero dell’autore tradotto.
E così da Spinoza ad Hobbes, da Lock a Descartes, si vede come il testo originale venga a volte modificato, o ampliato, o decurtato, a seconda di gusti, pensieri ed esigenze personali o storiche. Tanto che, alla fine, mi pare lecito domandarci in quale sentiero di questo tortuoso percorso della traduzione e della storia della traduzione si perda la Verità. Che sia verità di partenza o verità assoluta poco importa, quello che importa è quello che a noi, di questa verità, alla fine rimanga. E cosa ci suggerisca di creare. E qui, sulla scia di un suggerimento del professor Minazzi, mi viene spontaneo ricordare il pensiero di Italo Calvino a proposito del testo classico: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire”. Ovvero la lettura e, nello specifico, la traduzione come processo conoscitivo e creativo mai finito. E senza fine.
You must be logged in to post a comment Login