Dal 19 marzo al 17 aprile, al Civico Museo Parisi Valle di Maccagno, si terrà la mostra “Antonio da Tradate. L’Arte Sacra nel Varesotto e Canton Ticino”. La rassegna, la cui inaugurazione è prevista il 19 alle 18, è una preziosa occasione per conoscere un artista che fu attivo nelle valli intorno al Verbano tra Quattrocento e Cinquecento.
Abitante a Locarno, è documentato per la prima volta nel 1942 a Ronco sopra Ascona nella chiesa di San Martino, dove dipinse Apostoli e un ciclo dei Mesi. Il suo stile, saldamente ancorato alla tradizione tardogotica pur con qualche timido omaggio alle novità rinascimentali, riscuoteva un grande successo presso le comunità di villaggio che volevano far decorare le loro chiesette.
La quantità di opere dipinte negli anni, e una certa ripetitività dei modelli, fa presumere che si servisse di una ben organizzata bottega, di cui faceva parte anche il figlio Giovanni Antonio. Complessi cicli di affreschi a lui riconducibili si trovano in Canton Ticino ad Arosio, Verscio e Malvaglia, ma spesso ci sono giunti frammentari a causa dei rimaneggiamenti subiti dagli edifici che li ospitavano. Particolarmente interessanti e ben conservati sono quelli in San Michele di Palagnedra, recentemente oggetto di un bel libro di Renzo Dionigi.
L’unico ciclo di Antonio rimasto in area luinese, praticamente sconosciuto al grande pubblico, si trova a Maccagno Superiore, nell’oratorio di Sant’Antonio. La chiesa, che anticamente fu parrocchiale con il titolo di San Materno, si trova all’inizio dell’antico percorso che saliva in Val Veddasca. La modesta facciata stretta tra le case vicine conserva nella lunetta sopra l’ingresso le tracce di un’immagine di Madonna con Bambino, forse una Madonna del latte.
All’interno ci sono Storie della Passione, Apostoli e Mesi, affreschi che facevano originariamente parte di un apparato decorativo molto più ampio, in parte perduto in seguito all’ampliamento seicentesco della chiesa. La scena dell’Ultima Cena, variazione su uno schema usato da Antonio anche ad Arosio, mostra diversi elementi tipici delle Cene lombarde tra Quattrocento e Cinquecento, come il tema della comunione di Giuda o la presenza sulla tavola del gambero di fiume simbolo di tradimento. L’iconografia dell’Ultima Cena, insieme a quella dei Mesi e della Madonna del latte sono indagate nei pannelli della mostra “Cosa nutre la vita” che fa parte integrante della rassegna.
Al Museo si potrà inoltre ammirare un grande affresco con la Crocefissione, che si trovava fino al 1966 sulla parete esterna di una casa di Campagnano, poi demolita. È un bell’esempio dell’altra faccia dell’attività di Antonio: quella di pittore di immagini devozionali sulle case delle famiglie più in vista delle comunità locali. In questo caso il nome del committente ci è noto grazie alla trascrizione che Celestino del Torchio fece nel 1925 di un’epigrafe a lato dell’immagine sacra. Si tratta di Andrea figlio di Antonio Gatti, esponente di una facoltosa famiglia di Campagnano il cui stemma – un gatto che afferra un topo – si vede anche negli affreschi della Collegiata di Brezzo di Bedero. Le scritte, compresa la data 1503, non sono più visibili, anche perché tutto l’affresco è purtroppo molto deperito per essere stato lungamente all’aperto.
L’attribuzione ad Antonio da Tradate si basa sul confronto con sue opere certe, come la Crocefissione di Palagnedra o quella dipinta su una casa a Curaglia nei Grigioni, che reca la firma del pittore e la data 1510. La composizione riprende uno schema tradizionale ancora molto amato all’epoca nelle valli verbanesi, caratterizzato dagli angioletti che raccolgono nei calici il sangue delle piaghe di Cristo con evidente allusione eucaristica. Se il gusto generale dell’opera è decisamente popolare, le scritte in latino nei cartigli a lato della croce rivelano da parte del committente la conoscenza di un testo letterario diffuso soprattutto in ambiente monastico. Con una accorata esortazione Cristo si rivolge all’osservatore, invitandolo a non peccare più e offrendogli la sua misericordia.
Un’Annunciazione di Antonio da Tradate si trova poi in una casa privata di Maccagno superiore mentre a Maccagno inferiore una bella Madonna con il Bambino è affrescata nella chiesa di Santo Stefano. Per chi volesse invece compiere un viaggio alla ricerca delle Madonne del latte dipinte da Antonio e dalla sua bottega nelle valli sopra Maccagno, il catalogo della mostra ne segnala ben due a Curiglia, una a Graglio in Veddasca nel santuario di Penedegra e una nella cappella dell’Alpe Cedullo sopra Indemini, già oltre il confine svizzero. Come ricorda Fabio Passera, il sindaco di Maccagno con Pino e Veddasca che ha fortemente voluto questa mostra, “tutto ciò racconta di un’intensa attività artistica nel nostro territorio nei secoli passati, ma anche di una ricchezza iconografica e di devozione popolare senza paragoni”.
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