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Zic & Zac

L’INESPORTABILE DEMOCRAZIA

MARCO ZACCHERA - 11/03/2016

Le rotte dei profughi

Le rotte dei profughi

Ci si abitua presto a quello che diventa routine e così anche i disastri umanitari nel Mediterraneo e nei Balcani perdono facilmente l’attenzione della prima pagina. Usciamo per una volta dalla cronaca ed interroghiamoci sul perché da qualche anno siano spaventosamente aumentati i profughi “politici” ricordandoci che le decine di migliaia di migranti che premono sull’Europa in questi mesi provengono soprattutto da Siria, Iraq, Afghanistan ed Eritrea.

Fino a qualche anno fa la Siria era un paese stabile, Assad garantiva una unità del paese certamente non democratica e repressiva, ma con un regime infinitamente più blando e laico di quello proposto dai pazzi sanguinari dell’ISIS.

Parte dell’Europa ha cercato di abbatterlo e anche in chiave anti-Putin Assad è stato criminalizzato, addirittura nel 2014 c’era chi voleva un’invasione del suo paese e bombardamenti generali, solo grazie a Papa Francesco e a qualche governo illuminato si è aspettato.

Oggi Assad è molto meno “nemico” e se ha resistito per anni significa che con lui, oltre a Putin, c’era e forse c’è ancora una parte considerevole dei siriani e soprattutto i cristiani che da sempre con lui sono stati liberi di professare la loro fede mentre sono martirizzati in tutte le aree fuori dal controllo governativo.

Oggi si vedono le conseguenze di quella superficialità europea con milioni di profughi e nessuno ammette che i “ribelli” ad Assad (oltre all’ISIS, cui si è spianata la strada) sono anche peggio di lui: un esempio clamoroso di miopia politica e diplomatica.

In Eritrea (un paese povero e piccolo, assolutamente marginale) da decenni comanda un despota sanguinario, Isaias Afewerki, di formazione marxista ma che pensa soprattutto ai propri affari. Uno che si potrebbe deporre in pochi giorni ripristinando la libertà e arrestando così il flusso dei migranti, ma nessuno ne parla, nessuno interviene e lui continua a terrorizzare il paese nell’assoluta indifferenza internazionale. Spesso anche l’Italia ha chiuso non uno ma entrambi gli occhi con lui nonostante che il dittatore abbia espulso il nostro ambasciatore, non ci siano mai state libere elezioni e la violenza di stato sia brutale.

Storicamente colonia italiana, sei milioni di abitanti su un’area quasi tutta desertica grande un terzo dell’Italia, in Eritrea molti parlano ancora italiano ed a Massaua come all’Asmara sembra ancora di vivere in cittadine italiane degli anni ’50, ma la gente scappa appena può. Altro esempio di assoluto menefreghismo italiano ed europeo, con molte responsabilità morali nei confronti del popolo della nostra ex colonia.

In Libia la Francia ha avuto la responsabilità morale, politica e militare di aver destabilizzato Gheddafi – al solo fine di inserirsi sul mercato del gas e del petrolio ai danni dell’Italia – con la conseguenza di scatenare una guerra fratricida, creare l’instabilità della intera regione, rafforzare il business dei mercanti di carne umana e dare spazio all’ISIS.

In Iraq si combatté e si distrusse Saddam Hussein (un “nemico” più o meno inventato anche con prove totalmente false, come le fialette di antrace presentate all’Onu) polverizzando il paese e creando l’attuale stato di anarchia.

In Afghanistan, immemori degli insegnamenti della storia sulla difficoltà di controllare quelle terre, dopo l’11 settembre Bush “doveva” reagire e ha scatenato un conflitto sostanzialmente senza senso che quindici anni dopo non ha certo risolto i problemi.

Chi allora se non gli USA e poi l’Europa sono i primi responsabili di quello che sta succedendo nel Mediterraneo? Forse in occidente non si arriva a capire che il concetto di “democrazia” non è sempre esportabile in popoli con diverse culture e che la guerra non risolve i problemi ma – anzi – spesso li complica. Non lamentiamoci dunque se poi arrivano milioni di disperati: dovremmo avere il coraggio di cominciare ad ammettere e meditare anche sugli errori che abbiamo commesso e fa bene Renzi ad avere prudenza prima di incastrarci in Libia un’altra volta.

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