Da quasi mezzo secolo, da quando l’informatica ha fatto irruzione nelle nostre vite, ci è stata imposta ed è da noi accettata l’adozione di linguaggi fino ad allora sconosciuti anche perché non necessari nella vita quotidiana. Le prime parole “americane” venivano usate prevalentemente da professionisti che per perfezionare la loro formazione e cultura erano andati negli Stati Uniti riportando le terminologie facenti parte della loro formazione professionale. Qualcuno “ci dava dentro” per stupire l’inclito pubblico che poteva ascoltare. Ricordo perfettamente il mio incontro con il termine “screening”, che ho sentito usare da un luminare all’Ospedale di Varese mentre mi ci trovavo per una piccola medicazione. Ho sentito impartire un ordine di “screening” da farsi a un paziente e io mi chiedevo chissà quale malattia avesse quel povero diavolo per meritarsi quella cura misteriosa. Da vecchio varesino bosino ricordo un detto dei empi andati: “Te faj ben a parlà in zabò, inscì i vilàn capissan nò”. Ovviamente lo zabò era il dialetto bosino.
Sono trascorsi gli anni, e queste terminologie di origine nordamericana, sigle e acronimi di ogni specie ci hanno soffocati essendo spesso privi di spiegazioni sufficienti. Avendo un’età considerevole mi sono spesso trovato a mal partito a inseguire questi termini e la loro traduzione in internet. Qualcosa mi è riuscito, ma in questi giorni mi ha fatto fumare il cervello l’ultima trovata per far passare dalla finestra quello che dalla porta regolarmente non entra.
Parlo della “stepchild adoption” mentre siamo in Italia e l’italiano è la lingua comprensibile ai più. Visto quello che i politici combinano abitualmente, mi chiedo quanti “onorevoli” deputati e senatori saranno stati in grado di tradurre correttamente quel titolo che sa proprio di americanata fatta per imbrogliare. Questa è la politica all’italiana, Machiavelli docet! La legge è poi passata senza la “stepchild adoption”, meno male. I nostri parlamentari lamentano la disaffezione per la politica, ma la fomentano loro perdendo tempo dietro a queste cose inutili e deleterie.
Antonio Golzi
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