Il 17 aprile saremo chiamati alle urne per votare contro le trivellazioni nel Mediterraneo.
Non c’è bisogno di ricordare le devastazioni prodotte dagli sversamenti di petrolio da navi cisterna o da piattaforme (Wikipedia ne elenca più di uno all’anno negli ultimi cinquant’anni, tutti con gravi danni ambientali) per renderci conto del rischio che correremmo tutti se venissero permesse trivellazioni in prossimità delle coste.
Per questo motivo nove consigli regionali hanno contestato la norma, contenuta nel decreto “Sblocca Italia”, che toglie alle Regioni il potere di veto sui permessi di ricerca e sulla trivellazione di pozzi di petrolio e metano, col solito argomento di tagliare i tempi burocratici, aumentare la capacità estrattiva e sbloccare gli investimenti
La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivelle, relativamente alla durata delle autorizzazioni a esplorazioni e trivellazioni dei giacimenti già rilasciate. Il fronte anti-trivelle gode dell’appoggio di un vastissimo arco di forze politiche, del mondo cattolico e ambientalista, della più vasta opinione pubblica preoccupata per il futuro del Mediterraneo. Il Governo, che ha dichiarato lo sfruttamento degli idrocarburi di «importanza strategica» per il Paese, teme un risultato referendario simile a quello che quattro anni fa disse no alla privatizzazione dell’acqua e al programma nucleare. Ecco allora il giochetto: anziché accorpare il referendum alla tornata elettorale amministrativa, si fissa un’altra data, appunto il 17 aprile, sperando in una scarsa affluenza alle urne, che renderebbe nullo il risultato del ricorso alle urne. Ecco perché è importante andare a votare. Se il 17 aprile, per pigrizia o disinteresse, voltassimo la faccia da un’altra parte e rimanessimo a casa, il mare di cui siamo giustamente orgogliosi, che dà lavoro a migliaia di cittadini, finirebbe sfruttato da poche compagnie petrolifere per aumentare i loro profitti e verrebbe abbandonato dal turismo che distribuisce ricchezza a molti.
Risibili appaiono le motivazioni addotte a favore delle trivellazioni: affrancarci dalla dipendenza petrolifera e creare nuovi posti di lavoro (molti di più se ne perderebbero, nella pesca e nel turismo). Se davvero volessimo creare posti di lavoro potremmo farlo molto meglio con la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione di fonti alternative non inquinanti, salvando quello che ci rimane del nostro ambiente.
E dopo l’Enciclica di Francesco e le conclusioni della Cop 21 di Parigi, è allarmante che il Governo sia disposto a scialacquare 360 milioni di euro, non accorpando trivelle e amministrative e non consentendo ai cittadini di avere il tempo per informarsi e per prendere voce.
A proposito, voglio ricordare che un recentissimo documento della Commissione Europea conferma che l’Europa andrà in deficit di 118 miliardi di euro per lo smantellamento delle sue centrali nucleari e la gestione dello stoccaggio delle scorie. I Paesi che hanno reattori in funzione avranno costi elevatissimi. L’Italia scamperà questa mazzata, perché il popolo, con una notevole saggezza e lungimiranza, ha negato per due volte la proliferazione dell’elettricità dall’atomo voluta invece dai suoi governanti. La sospensione del programma nucleare in Italia a seguito dei referendum del 1987 e 2011 risulta oggi una autentica benedizione per una economia in crisi come la nostra. Quindi, arrivederci alle urne il 17 Aprile.
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