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Lettere

DAMNATIO MEMORIAE

- 22/02/2016

È consolidata tradizione da parte degli storici più autorevoli, considerare il confine orientale italiano “laboratorio” della contemporaneità nell’Europa centrale, zona di dimensioni circoscritte sulla quale si sono concentrati tuttavia alcuni dei fenomeni più devastanti dell’età contemporanea. Contrasti nazionali intrecciati a conflitti sociali, guerre di massa, dissoluzione di imperi multinazionali e affermazione di regimi antidemocratici, ma anche trasferimenti forzati di popolazioni tali da modificarne in profondità la configurazione territoriale, non hanno potuto che generare memorie dolenti, risentite e spesso contrastanti. Immagini che, trovando scarsa attenzione da parte delle istituzioni italiane, hanno rappresentato più che una ricchezza, una piaga difficile da rimarginare, quindi soggetta a facili manipolazioni e deleterie semplificazioni, rispetto a più serie valutazioni storiografiche. È proprio questa mancanza di attenzione e ponderazione, unita – se non proprio a una generale indifferenza – sicuramente al tormentato rapporto degli italiani con la loro memoria, a portare verso bieche sfilate lontane da quella matura e civile riflessione, che eventi certamente complessi e tragici, quale spesso è la storia umana, invece richiederebbero.

            In “1914”, vivace sintesi di Luciano Canfora edita recentemente da Sellerio, l’autore, tentando di ricostruire le cause del Primo conflitto mondiale, si chiede infatti come poterle stabilire e dove far partire il loro racconto, ventilando un’indefinita risalita temporale, con un’inarrestabile quanto affascinante concatenazione di cause ed effetti. Senza prendere le mosse da un “inizio mitico”, come lo definisce l’autore, certamente il suo implicito e utopico invito ad un’attenta analisi del nostro recente passato, ci scamperebbe proprio da quelle banalizzazioni mediatiche e soprattutto triviali manifestazioni inscenate per esempio a Varese nel “Giorno del Ricordo”. L’inutile marcia di funerea memoria organizzata da militanti dei movimenti di estrema destra, umiliando una città già segnata nel secondo conflitto da delazioni e tradimenti, tuttavia riscattati da fulgidi esempi di uomini poi riconosciuti “Giusti tra le Nazioni” – anche se ignobilmente dimenticati – non solo hanno disatteso quell’invito ad un onesto studio improntato all’umano rispetto, ma coi loro modi e parole gridate hanno sfoggiato un passato già tragicamente vissuto, del quale nessuno si spera auspichi il ritorno.

            Così la mancanza di spirito critico e la conseguente assenza di risposte, riportano d’attualità quel nitido ammonimento gramsciano secondo cui «ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare». Questo ignorare anche inconsapevole dovrebbe quindi spingerci ad avere maggiore cura e attenzione verso il nostro passato, evitandone un uso spregiudicato, nella consapevolezza che «la storia – riprendeva Gramsci – non è un enorme fenomeno naturale, un’improvvisa eruzione, un terremoto del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?».

Francesco Scomazzon

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