Me la ricordo ancora quella roggia che scorreva vicino alla casa della mia infanzia! Aveva un’acqua limpida dove si rifletteva il verde delle felci, delle ortiche e del caprifoglio. La costeggiava una lunga fila di acacie. Alla sua sponda scendevano le donne per fare il bucato. Allungavano la tavola per il bucato sulla quale le lavandaie insaponavano, strofinavano e sbattevano i panni. Non usavano detersivi, solo un sapone che ricavavano da un’ erba che cresceva nei campi. Una volta all’anno – a Pasqua – aggiungevano un po’ di cenere per rendere il bucato ancor più bianco. Cantavano allegre le donne e i loro gesti sembravano quasi liturgici.
Non fatico neppure a immaginare Gesù seduto al pozzo di Giacobbe in attesa di mitigare una sete tenace e nemica. Rammento ancora il pozzo, orlato di una bella vera col suo bell’archetto pensile. Vi era agganciata una carrucola che sosteneva il secchio di rame per attingere l’acqua che, una volta giunta, raccoglievo con le mani fatte a conca. Eravamo in guerra e per fuggire dai bombardamenti della città avevamo trovato riparo in una casa di campagna. Nelle arse giornate estive, il padrone di casa faceva scendere nel pozzo un’anguria messa a riposare in un cestino di vimini. L’acqua insorta nel buio della falda l’avrebbe resa freschissima. E attorno a quel pozzo ci raccoglievamo la sera per assaggiare quel frutto e ci sentivamo tutti più fervidi.
E come non ricordare la mancanza d’acqua in una torrida giornata di fine estate durante un’escursione in alta montagna? Camminavamo in cresta, esposti al sole protervo. Avevamo razionato l’acqua in modo che tutti ne potessero usufruire. L’ultima borraccia satura di acqua era la mia. A causa di una maldestra manovra, la fiasca si sganciò dallo zaino e rotolò lungo un canalone: eravamo senz’acqua e la bieca arsura si faceva sentire, ma ci spronava a proseguire, a rendere leggero il piede e sospingere verso il rifugio dove una lunga, avida sorsata avrebbe placato la sete.
Mi piace il vangelo di Giovanni con i suoi simboli della luce e dell’acqua.
Due elementi umanissimi, semplici, naturali, da cui l’evangelista fa scaturire lo splendore e la ricchezza della parola nuova di Gesù. L’acqua lava, purifica, disseta. Non solo: essa simboleggia lo Spirito che placa la sete più profonda dell’uomo al quale concede la vita totale.
Dopo che mia madre mi dette alla luce, mi portarono al fonte battesimale della cappella dell’ospedale.
Ho voluto ricercare la data del mio battesimo: quattro giorni dopo la nascita (Poàreto, ch’el no vada finir nel limbo! – avrà detto una premurosa suorina!). Allora si usava così. Nel buio della chiesa, il frate cappellano avrebbe compiuto dei gesti quasi magici, pronunciato parole in latino che nessuno avrebbe capito, io avrei frignato. Alla presenza di mio padre, dei miei fratelli e di due madrine, scelte all’ultimo momento fra due infermiere, sarei entrato nella comunità dei credenti in Cristo. Su di me sarà scesa l’acqua chiara e trasparente della vicina roggia che mi avrebbe cancellato la colpa dell’origine e l’acqua “madre universale della vita naturale” mi avrebbe introdotto nella Chiesa che accoglie in sé tutta la creazione e la rappresenta. Non so se per tradizione o per scelta riflettuta, i miei genitori non mi sottrassero a un bene sicuro – stare con Gesù e diventare dei suoi – per affidarmi all’avvenire, al giorno in cui fossi io stesso in grado di scegliere o respingere il battesimo.
Quell’acqua mi accompagna anche oggi. So di non averla sempre onorata, ma ho ricominciato sempre daccapo. Ho avuto i miei scivoloni, le mie riluttanze, i miei torpori, i miei dubbi, ma la tenera mano di Gesù’ sempre mi è venuta incontro per chiedere anche a me da bere come l’ha chiesto alla donna di Samaria. Egli non ha guardato ai miei peccati, ma alla mia umanità. “Com’è possibile che Lui chieda dell’acqua a me?”, “ Com’è possibile che desideri da me dell’acqua per dissetarsi, Lui che è la fonte perenne dell’acqua viva?”- verrebbe da chiedersi.
Egli, l’assetato, mi offre “l’acqua viva” che diventa per me “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”, acqua che placa la mia sete profonda di verità, di amore, d’infinito. Mi dona ciò che attendo. Da assetato, diventa Lui colui che irriga il mio cuore arido e lo rende fertile anche per gli altri. È bramoso di donare a me, sazio di progetti, la sua acqua!
Quando la quiete diventa angoscia, quando il tempo libero diventa frenesia, quando il cuore s’incattivisce, la gente mi infastidisce, devo sgambettare verso la vera sorgente. Troverò sempre Lui ad attendermi, accanto all’arsa solitudine del pozzo, sdraiato e avendo come guanciale una pietra. Io porterò il mio orcio vuoto. Penserà Lui a riempirlo.
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