Il centrodestra sa di non aver amministrato bene a Varese. Se fosse certo/fiero del contrario, avrebbe presentato per il dopo Fontana un esponente di partito, orgoglioso di proporlo alla conferma popolare. Invece ha puntato su una personalità civica, velo di prudente copertura alle insegne che evidentemente ci s’imbarazza a mostrare. Di qui la scelta – che prima pareva di molti e ora è rimasta di pochi – di Stefano Malerba; poi la chiamata, con successivo silenziamento, di Paolo Cherubino; infine l’annunzio tranchant dell’arruolamento di Paolo Orrigoni, opzione dichiarata definitiva al supermarket delle candidature. Vien da pensare (vien da dire che i reclutatori abbiano pensato): un nome purchessia. Basta che sia un nome. Che goda d’una qualche fama territoriale. Che allerti l’eco mediatica. Che risuoni nelle orecchie d’un tot di cittadini.
Un metodo che (1) rivela ambasce, debolezza, improvvisazione; lascia (2) perplessi i bendisposti a concedere il proprio favore a quest’area politico/ideologica, pur se non avversi all’ultimo prescelto in ragione dei suoi meriti imprenditoriali; non rende (3) più intrigante, e invece di tracciato meno lineare (gareggerà Orrigoni, sostenuto da Lega, Forza Italia, FdI, Movimento libero; e gareggerà Malerba, appoggiato da un gruppo di ex Udc ed ex azzurri), la corsa verso la poltronissima di Palazzo Estense. Ci voleva una diversa sintesi, in aggiunta a una bussola comportamentale coerente. Le investiture richieste e promesse, si mantengono e difendono.
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La Varese che declina e vuole cambiare, ha bisogno di competitori d’eccellenza politica, a sinistra e a destra: gente che abbia denunziato conoscenza delle questioni cruciali, sia stata in prima linea nelle battaglie civiche (vi si può stare dalla trincea della maggioranza, oltre che dal fronte dell’opposizione), sappia quale motivato indirizzo di svolta indicare per un rinascimento urbano su cui tutti concordano. A sinistra la gara delle primarie ha mostrato l’esistenza di questo spirito, di questa ricerca, di queste doti. A destra per ora non si è esibito nulla di simile, tantomeno la voglia d’assegnare agli elettori il diritto di determinare l’avversario di Davide Galimberti: perché no alle primarie anche sul versante moderato/conservativo così com’è accaduto sul fronte progressista/riformatore?
Il centrosinistra è stato dileggiato per una partecipazione al voto definita modesta: più di 2700 alle urne (però). Il centrodestra quante persone riuscirebbe a portare ai seggi? Con che articoli di programma, preso atto delle forti obiezioni dei varesini ai contenuti della legislatura ormai in articulo mortis? Forse (o certamente) è il timore di dover evadere tali quesiti ad aver imposto una decisione tra pochi intimi, dentro una stanza riservata, mediante accordi spartitori: a Varese tizio, a Busto Arsizio Caio, a Gallarate Sempronio. E non importano altri requisiti. Importa l’effetto che (il nome) fa. Che potrebbe fare.
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Non siamo lontani (siamo vicinissimi) all’atteggiamento che negli ultimi anni ha decretato la crisi di autorevolezza dei partiti, la sfiducia dei governati verso i governanti, la deriva protestataria/nichilista di buona parte del Paese. Ne è nato il fenomeno dell’antipolitica, così bene interpretato e tradotto in consensi dal Movimento 5Stelle a livello nazionale (e talvolta locale: potrebbe succedere anche qui, tra di noi, come è per esempio accaduto a Parma); e così felicemente/infelicemente incubatore della disfatta democratica dell’astensionismo/menefreghismo, preludio nel passato di penose rovine. E annunciatore di idem repliche nel presente.
Non c’è chi tiene alle sorti prossime venture della sua città che possa gioire del travaglio, delle turbolenze, delle capriole del centrodestra varesino. Il vantaggio dell’interesse generale non sta nell’affermarsi di un sinistro o di un destro, ma nell’insediarsi a capo della giunta comunale d’uno che ne garantisca l’efficienza guidandola a tempo pieno, libero da condizionamenti esterni, prigioniero solo della sua esperta passione per Varese, deciso a esprimere il segno di discontinuità necessario a ripartire dopo tanto immobilismo. La discontinuità è il vero nome plebiscitario di cui abbiamo bisogno. Il cognome che l’affiancherà deve possedere un certificato cursus honorum.
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