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Editoriale

UNITÀ

GIAMPAOLO COTTINI - 19/02/2016

abbraccioCi sono momenti della storia in cui la logica dei gesti e la grammatica dei segni vale più del contenuto stesso dell’evento, perché ogni frammento della realtà che avviene si carica di una tale ricchezza di contenuti simbolici così forti da farlo passare veramente alla storia come un unicum irripetibile. Si deve certamente riconoscere questa eccezionalità a quanto è accaduto nell’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kiril lo scorso 12 febbraio, in una circostanza che sembra quasi miracolosa, se paragonata al tortuoso cammino che sembrava renderla impossibile sino a pochi anni fa.

Era dal 1054 che lo scisma della Chiesa d’Oriente dalla Chiesa di Roma impediva l’unità della comunione ecclesiale tra cristiani d’Oriente e cristiani d’Occidente, che nel primo millennio del Cristianesimo avevano partecipato della stessa fede, seppure differenziata nella pluriformità delle tradizioni liturgiche, nelle differenti sottolineature di sensibilità teologico-pastorali, nell’autonomia delle chiese autocefale legate però pur sempre dalla comune professione di fede del Credo.

Il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca si sono incontrati ed abbracciati con l’affetto di due fratelli, riconoscendo il comune Battesimo e la comune appartenenza a Cristo, e dialogando per due ore come due vescovi che si incontrano per parlare della vita delle chiese affidate alla loro cura.

Non si è trattato dell’incontro diplomatico tra due capi religiosi, in quanto responsabili dei milioni di fedeli che a loro si riferiscono, quanto piuttosto di un confronto sulle cose essenziali condotto con franchezza e senza la preoccupazione di risolvere tutte le differenze dottrinali e pratiche. Per questo più di ogni altra cosa rimane indelebile il segno di quell’abbraccio, pieno di affetto e di stima, di riconoscimento e di reciproca consegna a quel “terzo” (Dio) che solo può permettere di stringersi l’un l’altro, superando la naturale estraneità legata ai ruoli che a ognuno dei due è stato consegnato dalla Storia. Il Mistero della presenza di qualcosa di più grande ha così trasfigurato la materialità delle circostanze facendo partecipare tutti di un dono di cui vedremo nel tempo la fecondità.

Proprio da questa verità dell’incontro nasce, infatti, la possibilità di collaborazione tra le Chiese sui grandi temi antropologici che affannano il mondo di oggi, dal recupero del valore della persona alla valorizzazione della famiglia, dalla costruzione della pace ad un lavoro comune per la giustizia. E su questo occorrerà dare corpo ai contenuti stilati nella dichiarazione comune, di cui forse la cronaca ricorderà l’ambiente impersonale in cui è stata sottoscritta, cioè una sala di aeroporto situata proprio in quella isola di Cuba che sembrava essere votata dalla storia ad essere il cuore di un regime ateistico sgorgato dal comunismo. Ed anche qui è significativo che l’importanza dell’evento abbia avuto una cornice così povera da essere quasi inadatta all’occasione.

Eppure c’è davvero da credere che Dio abbia inteso mostrarsi all’umanità proprio nello stile della povertà così caro a Papa Francesco per mettere meglio in luce il significato reale di quanto stava accadendo. In quell’abbraccio è cambiata la Storia perché la misericordia si è posta come gesto reale e sincero, anche oltre ogni pur dignitoso protocollo ed ogni più rosea aspettativa. Un lungo cammino si è compiuto e da oggi ne inizia un altro che speriamo in piena continuità. Ne è garanzia il sangue dei martiri che è stato il punto più alto dell’ecumenismo, quello che ha pagato con la vita il desiderio della piena unità della fede senza mai giocare al ribasso.

Perciò, anche questo storico abbraccio va letto sotto il profilo di una testimonianza di quella fede che vince ogni male ed ogni negatività; ed è questo il motivo per cui ci rimarrà negli occhi come segno di una Bellezza ineguagliabile.

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