Un protagonista del romanzo “Il giorno della civetta” di Sciascia parla di “uomini, mezzi uomini, prend…li e i quaquaraquà” riferendosi alle caratteristiche dei protagonisti dell’ambiente del racconto. È una classificazione che fa sorridere, se pur riferita ad una realtà drammatica, ma che spesso sento ripetere nei discorsi di amici. Vuol dire che Sciascia con poche parole ha saputo sintetizzare una verità? Forse, ma mi piace applicarla agli aspetti odierni del nostro vivere: i quaquaraquà sono numerosi, in tutte le attività della società e quindi anche in politica, ma non si rendono conto di essere tali, prigionieri del loro narcisismo. Gli “uomini” invece sono pochi, i “mezzi uomini” un po’ più numerosi.
Gli “uomini” sono persone di intelletto superiore, che non hanno paura delle conseguenze del loro operato, che nel bene o nel male si assumono le loro responsabilità. Generalmente nel loro agire perseguono vantaggi per sé stessi e per il prossimo, senza creare danno ad alcuno. I “mezzi uomini” dipendono dai primi. Non hanno le doti e le capacità morali dei primi, ma almeno non fanno danni e sono ancora in grado di assumersi certi impegni. Non sanno volare come le aquile, ma sanno fare anche il bene.
Gli ultimi, i “quaquaraquà” sono caratterizzati da assenza o scarsità di senso morale, in cui non credono. Approfittano di tutti gli eventi che si offrono per trarre vantaggi a se stessi. Non si peritano di danneggiare il prossimo. Sfuggono alle proprie responsabilità. Se pensano di aver subito un torto, si vendicano spietatamente anche a costo di coinvolgere se stessi nelle conseguenze nefaste della vendetta. Sciascia li assimila ad un branco di oche che impettite e tronfie si muovono nel pantano di una vita che per essi va bene così ed è voluta così.
Facciamo un esempio: prendiamo in considerazione un confronto, magari nell’area politica. Nell’ambito di una coalizione o di un partito, tra idee diverse viene scelta quella degli altri e non la propria. Pur di non veder trionfare quella altrui, i “quaquaraquà” sono disposti o addirittura fanno in modo che tutto il gruppo venga sconfitto. Fenomeno che abbiamo constatato frequentissimo nella sinistra italiana, famosissima per la capacità di “suicidarsi”. Fenomeno però non solo della sinistra, potrebbe far notare qualcuno. È vero, in questo momento vediamo protagonisti politici che aspirano allo sfascio di tutto, quindi disastro per tutti, convinti che così si potrà cambiare.
Curioso: nella letteratura del secolo scorso ebbe successo il famoso “Il Gattopardo”, romanzo storico che studiò con sagacia la società italiana nel periodo del Risorgimento. In un passo si sottolinea come tutto cambi per non cambiare nulla e anche questo è veritiero, come il pensiero di Sciascia, anche dopo due secoli. Nel breve passato abbiamo visto far cadere governi con gravi danni per tutta la Nazione, ma la sofferenza della nostra società non è scemata, anzi! E non è mai cambiato nulla.
Nella politica italiana ad ogni piè sospinto c’è il rischio che una minoranza di impettiti quaquaraquà imponga le proprie idee a delle maggioranze, spesso composte da analoghi componenti, o meglio da quelli chiamati da Sciascia “prend..li”, di cui non abbiamo parlato, forse per evitare pudico rossore sulle nostre guance. E tutto avviene perché, più che cercare il benessere dei cittadini, i suddetti sono tutti intenti alla caccia di voti, di preferenze con il più basso sforzo intellettuale possibile. Questo purtroppo è un punto debole (uno dei numerosi) della nostra democrazia, superabile solo con estensione della cultura dei veri “uomini”. Ma bisogna essere capaci d’averla, studiandola a fondo.
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