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Società

SUONA LA CAMPANA

EDOARDO ZIN - 12/02/2016

monacheNel tardo vespero di una giornata invernale, m’incammino verso il molo di un piccolo lago. Ammiro le onde che si accavallano e martellano contro l’imbarcazione su cui sono salito. Mi deve condurre nella piccola isola che ospita un’abbazia benedettina. L’acqua si muove increspandosi e ripetendo stanca il suo ricciolo contro la barca, mentre il cielo si sta sfioccando lentamente. Mi arrivano i rintocchi di una campana.

Approdo, compio pochi passi e arrivo alla portineria del monastero. Tiro la corda di una campanella. Il grande portone si apre e da dietro una grata una monaca mi accoglie con un sorriso che sa di mansuetudine, di tenerezza e di umiltà. “L’aspettavamo” – mi dice con un tono di voce che esprime serenità. I gesti delicati che compie sembrano far parte di un rito liturgico: mi consegna la chiave della camera nella foresteria, mi indica il percorso da compiere, mi consegna la Bibbia proponendomi di leggere il Vangelo di Matteo che sarà proclamato durante l’Eucarestia della prima domenica di Quaresima.

Sono giunto in questo luogo di pace per ritrovare, dopo i giorni tumultuosi passati in una capitale europea, la capacità di ascoltare nel silenzio ciò che brucia nel cuore, condividere le giornate con le figlie di Benedetto: la preghiera nel coro, i pasti, il silenzio, per far riposare il fisico stanco, godere della solitudine senza dimenticare la fedeltà e la solidarietà con chi vivo i miei giorni.

Apro il Vangelo di Matteo e leggo: “Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto”. E se ponendomi nello spazio tra l’alienante città che ho appena lasciata e quest’isola, non fosse forse questo il “mio” deserto? Tra la folla di emozioni lasciate alle spalle, le sollecitazioni esterne e superficiali vissute freneticamente non dovessi qui attraversare il deserto faticoso, duro che porta alla conoscenza di me stesso? È nel deserto che Dio si è rivelato a Mosè e al suo popolo al quale ha donato la sua legge, lo ha colmato di doni, che si manifesta a Elia…Ed è nel deserto che il tentatore mette alla prova Gesù. Giovanni Battista è l’uomo del deserto. Forse, in quest’isola scoprirò l’ambivalenza di ogni vita umana come luogo di solitudine, ma anche di incontro; del cammino frenetico dei giorni e il sostare lento per avere cura di me stesso; del supermercato delle vuote parole delle folle ove regna l’arroganza di chi grida più forte e la terapia del silenzio ove la Parola risuona non a vanvera!

Continuo a leggere: “Non di solo pane vive l’uomo”. È vero: c’è bisogno anche di un fiore per lo spirito, di una buona lettura, dell’ascolto di una suonata di Bach o della bellezza di un quadro per alimentare l’animo. L’invito di Matteo, diretto a me che amo gustare il buon cibo, sembra invitarmi ad essere più moderato in un periodo in cui il consumismo invita a riempire ristoranti e di contrasto le terapie dietetiche sono assai diffuse. Mi si fa viva l’immagine di un prestigioso e lussuoso ristorante a cui sono stato invitato da un amico: a piccoli tavoli ricoperti da tovaglie di raso, apparecchiati con vasellame e posateria scintillanti, con accanto il secchiello di ghiaccio per accogliere la bottiglia d’annata siedono persone sole, coppie di anziani che non scambiano una parola, alcuni giovani che, tra una forchettata e una risatina sommessa, armeggiano sui tablet. Non un bambino. L’ambiente è asettico, silenzioso, eppure il cibo è convivialità, relazione, amore. A tavola non ci si nutre solo di cibo, ma di scambio di parole, di esperienze. Non è di questo di cui l’uomo d’oggi ha bisogno per vivere?

Matteo continua a sorprendermi. A Gesù il tentatore gli propone di buttarsi giù dal tempio e di salvarsi chiamando in soccorso i suoi angeli, ma il Salvatore gli risponde:”Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Penso che anch’io mi sono spesso creato un’idea di Dio perversa. In nome della sua onnipotenza ho proiettato su di lui le mie colpe e i suoi desideri di vendetta, dimenticando che già è male il male che ho commesso. Esso ha in sé stesso la potenza mortifera che mi impedisce di vedere e di beneficiare dell’amore di colui che è stato inviato proprio per salvarmi. Ho messo alla prova anch’io Dio quando ho pensato ch’Egli fosse più interessato al mio peccato che non alla mia sofferenza. Ed è in nome dell’onnipotenza di Dio che si sono compiute nella storia atroci nefandezze: dal “Dieu le veut” dei crociati, al “Gott mit uns” dei nazisti. Ha scritto Martin Buber: “Dio è la parola più insanguinata della nostra storia”. Ho messo alla prova Dio quando nel suo nome ho provocato polemiche, sono stato intransigente, rigorista fino al punto d’interessarmi ossessivamente al peccato degli altri senza prima preoccuparmi delle loro sofferenze.

“Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” risponde Gesù alla terza tentazione. Oggi l’uomo ha i suoi idoli, i suoi feticci. Vive per essi. Per alcuni è il potere, il comando raggiunto a tutti i costi, per altri è il possesso di danaro, per certuni il mercato, per altri ancora è il condizionamento determinato dal mondo virtuale delle nuove tecnologie, o dalla droga, dall’alcool. I centri commerciali sono diventati i nuovi templi, certe trasmissioni televisive le nuove agorà, gli stadi occasioni per far esplodere rabbie represse… Gli idoli – penso tra me e me – ci divorano e diventiamo gretti e meschini e allora lo sconforto spirituale si mescola alla disperazione.

Suona la campana che mi invita alla mensa. Condividerò il pasto con altri ospiti e, nel silenzio, radunerò in me stesso il filo dei pensieri. Non c’è meglio che incontrarsi con gli altri per sentirsi più se stessi.

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