Sabato 30 gennaio, nell’ambito delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario di Radio Missione Francescana, è andata in scena presso la chiesa dei Frati Cappuccini di viale Borri l’opera teatrale “Assassinio nella cattedrale” del drammaturgo inglese Thomas Eliot. A rappresentarla la compagnia teatrale di Luisa Oneto.
L’opera narra la vicenda di Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, che il 29 dicembre dell’anno 1170 fu ucciso da quattro sicari inviati da Enrico II, re d’Inghilterra, proprio all’interno della famosa cattedrale.
Il dramma di Eliot, interpretato in modo suggestivo e vibrante da tutti gli attori, sotto la sapiente regia di Luisa Oneto e la supervisione artistica di Antonio Zanoletti, ha condotto gli spettatori nelle profondità dell’animo umano, combattuto tra potere e libertà e tra verità e menzogna.
Il vescovo Tommaso, che torna a Canterbury dopo sette anni di esilio volontario, rompe l’equilibrio che si era instaurato tra i potenti ed il popolo, che si era rassegnato ad una “quasi vita” pur di rimanere tranquillo, come ripete il ritornello del coro delle donne di Canterbury: “vivendo e quasi vivendo”.
Ma Becket, dopo aver vinto le quattro tentazioni che una dopo l’altra lo insidiano, è pronto per affrontare senza paura il potere terreno.
Uno dei momenti più intensi del dramma di Eliot è rappresentato dalla predica della Messa di Natale, che l’arcivescovo Tommaso Becket pronuncia nella Cattedrale di Canterbury. Tommaso prende avvio da una considerazione: la messa è la celebrazione della passione e della morte di Gesù ed il Natale è la celebrazione della sua nascita, quindi la messa di Natale rappresenta un momento unico in tutto l’anno, nel quale si celebrano insieme la nascita e la morte di Gesù. Ma Becket si domanda: “Chi, nel mondo, può piangere e rallegrarsi nello stesso tempo e per la stessa ragione?”. Si tratta di un paradosso inconcepibile all’uomo, così come paradossale è la promessa, che gli angeli proclamano ai pastori “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra a gli uomini di buona volontà”; ed anche qui sorge una domanda: “Non vi sembra strano che gli angeli abbiano annunciato pace, quando il mondo incessantemente è colpito dalla guerra e dal timore della guerra?”. Ma si tratta di una pace diversa da quella del mondo. Entrambi questi due paradossi, quello di una gioia mista al pianto e quello di una pace che non è assenza di guerra, si comprendono compiutamente dentro l’esperienza del martirio. Tommaso Becket è consapevole del pericolo che incombe su di lui e sa che gli emissari del re torneranno per ucciderlo, ma nonostante ciò nel suo cuore regnano la pace e la gioia, che derivano dall’affidarsi alla volontà di Dio:
“Un martirio cristiano non è mai un “caso”. I santi non sono fatti a “caso”. Ancora meno è il martirio cristiano l’effetto della volontà di un uomo di diventare santo. Un martirio è sempre un disegno di Dio, per il suo amore per gli uomini, per ammonirli, e per guidarli, per riportarli sulla via. Un martirio non è mai un disegno d’uomo; poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio; non perduta, ma trovata, poiché ha trovato la libertà, nella sottomissione a Dio. Il martire non desidera più nulla per se stesso; neppure la gloria del martirio.
Così come sulla terra, la Chiesa insieme gioisce e piange, in un modo che il mondo non può in alcuna maniera capire… Vi ho parlato oggi, figliuoli miei cari in Dio, dei martiri del passato, e vi chiedo di ricordare specialmente il nostro martire di Canterbury: il beato arcivescovo Elfego; poiché ben s’addice, nel giorno della nascita di Cristo, ricordare quella pace che egli portò; e perché è possibile che, fra breve, voi abbiate un nuovo martire, il quale, forse, non sarà l’ultimo. Vorrei che custodiste, nel vostro cuore, queste mie parole, per ricordarle nel tempo futuro”.
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