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Il nome Gennaio deriva dal dio latino-romano Giano (Ianuarius), preposto alle porte, ai ponti, e a ogni forma di mutamento simbolico e attraversamento: in questo, Gennaio/Ianuarius era un po’ la chiave di volta, aprendo le porte al nuovo anno.
Apre il calendario gregoriano per inaugurare una nuova fase della vita, con giornate i cui cieli di Lombardia e del Varesotto sono, astronomicamente parlando, i più belli dell’anno: puliti, tersi di uno stupefacente blu cobalto, con i sette laghi che sembrano riflettere le azzurrità celesti. Le giornate sono più lunghe e luminose, proprio quando sembrava che il buio, la notte, le pesanti simbologie autunnali e mortuarie, avessero coperto tutto. La magia della Natura inverte l’abisso e di nuovo la luce, com’è giusto, riprende il suo posto.
Quando ancora la nostra “civiltà” si lasciava ammaestrare e si leggeva ogni cosa in chiave mitica, la simbologia di Gennaio era insieme una speranza e un insegnamento: quanto più nera e profonda poteva essere la notte, tanto più la luce avrebbe trionfato ancora. E la vita greve e pesante si fa via via più lieve.
Non si può allora non estrapolare dal nostro vissuto qualche poesia che è spiritualmente terapeutica ed evocativa per antonomasia: Gennaio, di Giovanni Pascoli: Nevica: l’aria brulica di bianco; / la terra è bianca, neve sopra neve; /gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco, / cade del bianco con un tonfo lieve. / E le ventate soffiano di schiantoe per le vie mulina la bufera;/ passano bimbi; un balbettio di pianto;/ passa una madre; passa una preghiera!
In Gennaio si propiziano riti agricoli-pagani opportunamente cristianizzati come i falò di Sant’Antonio Abate. Abbiamo visto a metà gennaio, quelli nel rione della Motta a Varese e a Lissago-Mustonate, davanti alle chiese intitolate al santo. Il fuoco purificatore, ci rimanda al rito di morte-rinascita. Le ceneri che si disperdono nel vento di tramontana renderanno fertile il terreno. I terreni del resto vengono arieggiati, rimossi e ripuliti da vecchie stoppie. Gli animali domestici e da cortile, benedetti; come “benedetto” era considerato il lavoro dei campi che non poteva svolgersi senza il loro aiuto.
In alcune località padane sopravvive la tradizione della Giöbia, la vecchia strega, e permane ancor oggi il simbolo dell’inverno da scacciare mediante un enorme falò per far sparire i mali, affinché possa nascere e germogliare rigogliosamente la nuova stagione con i suoi doni di opulenza. È un altro rito propiziatorio di origini agricole molto sentito. In particolare a Busto Arsizio, dove la Giöbia è impersonata da una vecchia fatta di paglia, di stracci, di pezze o altro materiale combustibile, rivestita di vecchi abiti dismessi, che viene issata su cataste di legna e bruciata in piazza l’ultimo giovedì di gennaio. Forse il suo nome trae per l’appunto origine da Giovia (giovedi). Ma ci sono altre versioni etimologiche.
Rappresenta la brutta stagione invernale da bruciare, col fuoco che crepita e scintilla portando con sé ogni elemento negativo: le malattie, i fardelli della vita ed altro. Era ed è una “festa” pubblica, collettiva, nella quale si mangiavano piatti tradizionali costituiti da risotto con luganega e polenta con i “brüscitt”; poi seguiva il “falò”. Nelle scuole elementari del basso Varesotto e del Bustese questo rito viene accompagnato dalle grida festanti dei bambini, con chiacchiere e frittelle da gustare. Un’anticipazione dell’imminente Carnevale.
E per concludere il mese, la Merla, e i suoi ultimi tre giorni freddi, taglienti e chiari, con le sue tramontane ululanti, evocative di leggende del Grande Nord. Secondo una delle tante, i merli, allora bianchi, si dovettero rifugiare all’interno dei comignoli a causa del grande freddo, diventando tutti neri. Poi, dopo molti giorni, credettero che Gennaio fosse passato e sbucarono fuori canzonandolo, ma lui si vendicò e scatenò bufere di neve, vento, gelo, imbiancandoli ancora. E la magia si rinnova a ogni gennaio di ogni anno.
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