Nel sequestro e conseguente chiusura temporanea della sala cinema di Filmstudio90 di via De Cristoforis c’è un grande assente: il buonsenso. Un ingrediente troppo spesso esiliato dalla vita pubblica e privata degli italiani. Un esilio evidenziato anche dalla recente vicenda che sta penalizzando l’associazione presieduta da Giulio Rossini, cinefilo e operatore culturale di alto livello che, con la collaborazione di un gruppo di volontari agguerriti, ha in pratica salvato il cinema di qualità a Varese.
In pratica il decreto di sequestro preventivo della mitica saletta, emesso dal Tribunale di Varese il 19 gennaio, si fonda su due elementi: 1) non sarebbe sufficientemente evidenziato su locandine, giornali, social e media vari che la fruizione cinematografica e altri servizi sono riservati esclusivamente ai soci di Filmstudio i quali pagano la quota annuale e poi acquistano il biglietto per ogni singola proiezione. Il che significa che chi non è socio non può accedere alla sala. Secondo il decreto non risulterebbero invece evidenziate abbastanza le diverse modalità di accesso a via De Cristoforis (cineclub vero e proprio con tessera) rispetto al Cinema Nuovo, sala commerciale pure gestita da Filmstudio, dove invece non è necessaria alcuna tessera; 2) l’“insufficiente differenziazione” fra le modalità di accesso alle due sale ha indotto gli inquirenti a ritenere che anche per via De Cristoforis siano necessarie le stesse autorizzazioni a tutela della pubblica incolumità (dichiarazione di inizio attività e quant’altro) previste per il Nuovo. Di qui il provvedimento “muscolare” di sequestro e il relativo contenzioso che porterà a un lungo stop di Filmstudio con un danno ingente all’associazione che proprio di recente ha compiuto rilevanti investimenti per l’acquisto di tre nuovi proiettori digitali: per via De Cristoforis, per il Nuovo e per Esterno notte.
Non solo, pochi mesi fa proprio per separare più nettamente le attività pubbliche del Twiggy bar, situato al piano rialzato dell’edifico di via De Cristoforis, dalle attività private del cineforum di Filmstudio collocate al piano superiore, è stata richiesta, a norma di legge, la costruzione di una scala di accesso esterna, già ultimata, in modo tale che la separazione tra i due ambiti fosse inequivocabile. La contraddizione è evidente: in prima battuta si impongono interventi strutturali come la scala proprio perché si riconosce l’uso esclusivamente privatistico dei locali adibiti a cineforum, in seconda battuta gli stessi locali vengono posti sotto sequestro perché si ritiene che la loro elevata fruizione ne configuri comunque un prevalente uso pubblico.
Una questione giuridicamente sottile che appassionerà senz’altro i cultori del diritto ma che certo scontenta, scoraggia e amareggia centinaia di appassionati di cinema costretti a rinunciare agli appuntamenti con un luogo di “resistenza” cinematografica punto di riferimento irrinunciabile per una robusta minoranza di varesini refrattari all’omologazione da cinepanettoni. Del resto Filmstudio è a pieno titolo un pezzo importante della storia culturale di Varese e del suo hinterland. Cinema d’autore prima di tutto, documentari ( I Cortisonici), rassegne puntuali come Un posto nel mondo e come la frequentatissima Esterno notte ma anche musica, teatro, iniziative culturali e sociali hanno scandito i venticinque anni della sua storia.
Mentre chiudevano i battenti locali storici come il Politeama, il Lyceum, il Vittoria e altri di più recente nascita (Arca e Vela) il cinema di qualità trovava nei locali Coop di Biumo Inferiore una nicchia via via sempre più qualificata dove è stato possibile proporre e riproporre ciò che il mercato espelleva velocemente dai circuiti commerciali. E ciò potendo anche contare sulla disponibilità dell’Amministrazione comunale, disponibilità manifestata anche nei giorni scorsi, dall’Assessore alla cultura Simone Longhini. E questo va detto.
Comunque sia, dato e non concesso che da parte di Filmstudio ci sia stata qualche inadempienza, sarebbe stata davvero preferibile la ricerca di una soluzione amministrativa rispetto alla muscolarità mediatica del sequestro.
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