L’accoglienza dei profughi sembra non fare più notizia in Italia, ora che i flussi più numerosi si sono spostati sulle rotte della Grecia e della Turchia per raggiungere Germania e paesi nordici attraverso i Balcani, dato il clima invernale che flagella le rotte dei barconi nel Mediterraneo e disincentiva gli sbarchi ma soprattutto grazie alle aperture pro-siriani di Angela Merkel, oggi sempre più contestata dai suoi.
Perfino gli episodi di cronaca europea più clamorosi, come le aggressioni sessuali di gruppo a Colonia durante la notte di Capodanno, sembrano riguardarci poco: in attesa degli esiti finali delle indagini di polizia, che si tratti di violenza organizzata da gruppi estremisti in mezzo a folle ubriache di immigrati e profughi in terra tedesca come campione dell’Occidente idolatra, o più semplicemente di violenza spontanea da frustrazione sessuale di giovani maschi emarginati dal contesto sociale germanico, tendiamo a pensare che da noi sia diverso, perché comunque non è accaduto qui.
Anche gli altoparlanti mediatici della Destra sbraitante, che quotidianamente sputano insulti alle masse musulmane identificate col terrorismo, non suscitano troppa attenzione, finché non possono essere rilanciati episodi scioccanti accaduti da noi, sulle nostre coste o nelle nostre città. Durerà? L’attenuazione del clamore mediatico non deve ingannare: basta un qualunque piccolo fatto di cronaca nera che riguardi profughi o immigrati stranieri per far ripartire strepiti e sciacallaggio, tanto più se ci si avvicina ad elezioni come avverrà nella primavera prossima.
Perciò occorre approfittare del calo di rumore esterno per affrontare i problemi veri con lucidità, in particolare per i profughi, verso i quali si è concentrato nei tempi recenti l’allarme sociale a furia di sbarchi massicci e improvvisati. Specialmente dalle nostre parti, perché è proprio l’accoglienza dei profughi che interessa più direttamente il territorio varesino, che ne ospita circa 1100, divisi tra i 997 delle strutture di emergenza prefettizie, organizzate direttamente dal Ministero dell’Interno tramite le Prefetture ed avvalendosi di alberghi, aziende agricole, imprese che si improvvisano enti gestori, e gli 87 del sistema SPRAR, curato dai Comuni in convenzione con lo stesso Ministero dell’Interno e scegliendo accuratamente i gestori tra le associazioni e le cooperative sociali più preparate.
Già il doppio regime organizzativo è un evidente problema, ma è soprattutto il sistema prefettizio del Ministero dell’Interno che non può che suscitare critiche, se si condivide una prospettiva ideale di umanità e di rispetto solidale delle persone in fuga da fame, guerre e violenze.
L’organizzazione ministeriale dell’accoglienza, infatti, sembra partire dal principio, indiscusso e miope, che si tratti di affrontare un fenomeno di breve periodo, una catastrofe improvvisa che non durerà se non mesi, o al massimo 1-2 anni, per la quale servono “tende da campo” e non solide strutture. Come se si dovesse ospitare un vicino a cui un violento temporale abbia scoperchiato il tetto, e che appena rimesse a posto le tegole potrà tornarsene a casa: per cui basta mettere qualche vecchia branda nel soggiorno, o magari nel ripostiglio, o aiutarlo a pagare qualche notte d’albergo, e dopo poco finirà il disturbo.
Sappiamo bene che non è così, che siamo di fronte ad un fenomeno epocale irreversibile di migrazione di masse povere dal Sud del mondo verso la Fortezza Europa, che attraversa anche il fragile Fortino Italia. E che, in questo contesto, la fuga dei profughi dai tanti teatri della “guerra mondiale a pezzi”, di cui parla Papa Francesco, ha lo stesso carattere di continuità e irreversibilità.
Tante sono le cause storico-sociali delle odierne migrazioni di massa: dalla globalizzazione agli effetti di lunga durata di colonialismo e neocolonialismo; dalla ciclicità “monsonica” e a cascata delle crisi per l’abnorme finanziarizzazione dell’economia, ai contrasti geostrategici delle politiche di potenza e rispettive sfere d’influenza dei grandi blocchi economico-politico-militari mondiali; dalla competizione per l’accaparramento delle risorse energetiche all’imporsi di regimi autoritari ed oppressivi; dal rapporto perverso tra sviluppo dei forti e sottosviluppo dei deboli, all’insorgenza tumultuosa di fondamentalismi etnico-culturali e religiosi l’un contro l’altro armati; ecc. ecc.
Tutte questioni rilevantissime “a monte” del fenomeno, essenziali per capire che i profughi non fuggono certo per capriccio o ingannevole attrazione delle sirene mass-mediatiche occidentali; ed essenziali per capire che noi-Occidente, verso cui fuggono, non siamo esenti da responsabilità per le cause della loro fuga, e che è importante agire per correggere tali cause alla fonte. Ma da cui è necessario partire per andare oltre, senza eludere le risposte pratiche immediate, magari cavalcando l’illusione di contrastare con la forza questo fenomeno, come tende a fare una certa Destra italiana vellicando i peggiori istinti popolari e farneticando su “rimbombo dei cannoni” per i respingimenti in mare o “scarponi sul terreno” per bloccare all’origine le rotte migranti.
Servirebbe tutt’altro atteggiamento dal Ministero competente: esercitare al meglio la politica come “arte del possibile” e affrontare nel concreto il problema dell’accoglienza, per governarlo con realismo, razionalità e rispetto della dignità delle persone, che siano profughi o abitanti insediati sul territorio.
Come? Lo vedremo entrando nel merito nella seconda parte, con il prossimo articolo.
(1 – fine prima parte)
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