Il Governo Monti ha iniziato quella che è stata chiamata la “fase due” della sua strategia economica. Dopo i provvedimenti di urgenza, basati essenzialmente su nuove tasse, per fermare la deriva finanziaria dell’Italia, ora si sono messe in cantiere le misure che dovrebbero ridare ossigeno all’economia e fiato alla crescita.
Un obiettivo ambizioso perseguito tuttavia con strumenti che sono indubbiamente positivi per ridurre il potere delle corporazioni e delle rendite di posizione, ma che rischiano di avere risultati (purtroppo) molto inferiori alle attese e soprattutto alle promesse.
Il decreto sulle liberalizzazioni è già stato ampiamente analizzato e commentato nei giorni scorsi su tutti i mezzi di informazione. In questa sede vale forse la pena sottolineare come un mercato più aperto, libero e in cui sia possibile un confronto tra i beni e i servizi offerti, costituisce indubbiamente un’opportunità per raggiungere una sempre maggiore efficienza, prezzi più bassi e migliore qualità a tutto vantaggio dei consumatori. Aumentare l’offerta di taxi come di farmacie, evitare i conflitti di interesse tra chi gestisce le reti, per esempio del gas, e chi le utilizza, facilitare l’avvio di nuove imprese da parte dei giovani, costituiscono tutti elementi positivi che possono dare una piccola, ma significativa scossa al sistema economico e sociale.
Ma ci sono almeno quattro elementi critici che non vanno messi in secondo piano e che (come detto, purtroppo) costituiscono ancora altrettanti fattori di rischio sulle potenzialità di crescita della società italiana.
1) Il primo elemento è costituito dal comportamento delle categorie interessante agli interventi: sono prevalse la dura opposizione e la protesta culminate in blocchi stradali, manifestazioni di piazza, proclami quasi insurrezionali. La logica della conservazione dello status quo è stata il motivo conduttore delle diverse prese di posizione. Il proclama “non si tocca” si è periodicamente elevato a difesa dell’attuale situazione sociale. Non è mai riuscita a venire a galla la logica del bene comune, della solidarietà collettiva, dell’esigenza di aprire maggiormente le professioni ai giovani. In questa vicenda si è avuta la riconferma di una società chiusa, desiderosa di mantenere garanzie e protezioni anche se da queste deriva un freno alla dinamica sociale.
2) Il secondo elemento è dato dal fatto che i provvedimenti del Governo agiscono, e peraltro solo parzialmente, più sulle strutture che sulle normative. Si prevede così l’ampliamento del ruolo dei notai, ma non si semplificano le procedure che fanno capo agli stessi notai (semplificazione che renderebbe peraltro secondario aumentarne il numero).
3) Le liberalizzazioni adottate sono in molti casi più delle promesse che delle realtà: è il caso della separazione tra reti e gestori nel trasporto ferroviario, dei costi dei servizi bancari, della trasparenza delle assicurazioni. E peraltro in molti casi il processo di apertura è stato affrontato con un’ottica ancora dirigistica.
4) Ultimo, ma non meno importante è tuttavia il fatto che liberalizzare può essere considerato solo un piccolo passo, e nemmeno il più importante, sulla strada del rilancio dell’economia. Se infatti guardiamo alle cause della stagnazione che ha contrassegnato l’Italia negli ultimi anni possiamo elencare: il calo demografico, le carenze sul fronte della ricerca e dell’innovazione, un sistema scolastico inefficace, la scarsa fiducia dei cittadini e delle imprese, le complessità procedurali e amministrative, la crescente spesa pubblica che ha comportato un forte aumento della pressione fiscale. Ebbene su questi fronti il Governo ha per ora fatto poco o nulla. È vero: si tratta di temi per i quali si devono prevedere interventi di lungo periodo e che richiederebbero significativi interventi finanziari. Ma uno spiraglio di crescita si può ottenere solo con politiche che aiutino le famiglie, i giovani, il lavoro e che quindi siano il terreno giusto per ricostruire quell’elemento indispensabile che è la fiducia. In questa prospettiva il compito non è solo del Governo: è la politica nel suo complesso che deve dare una risposta. Ma è la politica nel suo complesso che appare ora chiusa a difendere le proprie posizioni (per non dire i propri privilegi). Sui costi della politica sembra sceso il silenzio: tutto sembra essersi arenato a parte qualche taglio simbolico alle auto blu e ai vitalizi dei parlamentari. Ma non si parla più di ridurre il numero di deputati e senatori, di abolire le province, di vietare i doppi incarichi (e soprattutto i doppi stipendi), di tagliare i compensi eccessivi degli amministratori pubblici, di abolire competenze e procedure inutili. Eppure proprio queste riforme servirebbero a ricostruire quella fiducia nella politica e nel Paese che è ridotta ai minimi termini.
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