Alcune settimane fa è stato comunicato l’esito dei concorsi internazionali promossi dal Comune di Varese, dalla Provincia e dalla Regione Lombardia per l’area di Piazza Repubblica con l’ex caserma Garibaldi, il nuovo teatro e il rifacimento dell’insediamento di Via Ravasi. Con gran festa è avvenuta la proclamazione dei vincitori, selezionati fra oltre duecento concorrenti, e trasmessi alla rete gli elaborati di progetto.
La grande curiosità dell’attesa sembra ora sopita e sciolta negli scintillii delle feste. Forse le aspettative non sono state all’altezza dei risultati ottenuti. Forse le linee guida che vincolavano le proposte progettuali si sono rivelate non adatte all’esercizio risanatore auspicato. Certamente non ha contribuito la separazione in due comparti di un’area bisognosa di un intervento unitario: non sarebbe stato più utile bandire un concorso per il Masterplan che individuasse le idonee linee guida per gli interventi possibili? Numerosi concorrenti hanno presentato i loro progetti per entrambi i comparti proponendo una unitarietà stilistica nell’intera area. Altri progettisti hanno tentato di forzare le loro proposte “scartando” alcuni vincoli imposti dal bando indicando una visione più consona di architettura per la città, e pertanto sono stati esclusi. Tra questi anche “firme” note del firmamento internazionale.
Un giardino pensile senza speranza
Comunque e sempre: complimenti ai vincitori! Comprensione e apprezzamento ai partecipanti che hanno profuso ingenti energie intellettuali e risorse economiche.
Il progetto vincitore, per il comparto Piazza Repubblica e Caserma Garibaldi, ha presentato una proposta anche per il nuovo teatro e la ridefinizione degli insediamenti di Via Ravasi, abbracciando l’idea di introdurre una costante ideativa in grado di restituire una omogeneità stilistica all’intera area.
Questa proposta, ideata dall’architetto milanese Mauro Galantino, è corredata da una relazione ben articolata e ricca di elementi dimostrativi della tesi progettuale. Ciò che viene proposto è la negazione di una piazza e la creazione di un giardino pensile alberato. Le piante da mettere a dimora dovrebbero radicare in uno spessore esiguo di terra e il loro destino sarebbe il rinsecchimento in breve tempo. Inipotizzabile il caricamento della soletta di copertura dell’autosilo con quantità di terra umida sufficiente allo scopo, perché non ne sopporterebbe il peso. Se ben ricordo questa tesi era già stata considerata e, per quanto detto, scartata. Un’altra scelta che solleva perplessità è l’occultamento del Monumento ai Caduti del Butti. Il progettista nella sua relazione scrive che il monumento non è “la Pietà Rondanini”, fatto di cui tutti siamo consapevoli, e continua denunciando la “bruttezza” del complesso scultoreo, qualità attribuibile a tutti i monumenti celebrativi. In realtà l’opera dello scultore viggiutese Enrico Butti viene indicata da una gran parte della critica come una composizione originale, tra le migliori del suo genere in Italia. In ogni caso ritengo sia un’immagine radicata nella storia della città di Varese ed elemento di riconoscimento figurativo per una sua parte.
La soluzione proposta da Galantino è quindi un grande hortus conclusus, un giardino recintato il cui perimetro è definito dal fianco dell’ex Caserma Garibaldi, da un manufatto lungo via Magenta, da una quinta edificata parallela al fronte del Centro Commerciale e dal dislivello alberato con la sovrastante Via Bizzozero. Questo nuovo giardino sembra voler riscattare la cementificazione ipotizzata sul colle Montalbano, restituendo alla città una parte del verde sottratto.
Per quanto riguarda il recupero e la ridefinizione funzionale dell’ex Caserma vorrei rimarcare quanto indicato a tal proposito nel testo “Semi di Città” e in particolare all’inutilità di spostare la biblioteca dall’attuale, adeguata, collocazione.
“Semi di Città” mostra i gravi limiti del Masterplan proposto dalle Istituzioni Pubbliche, dimostrati ora dalle criticità insite nei progetti presentati ai concorsi.
Errato sacrificare il Sant’Ambrogio
L’architetto Fernando Pardo Calvo di Madrid è il vincitore del concorso riguardante il nuovo Teatro e il nuovo insediamento di Via Ravasi (successivo alla prevista demolizione del complesso ex Collegio Sant’Ambrogio). Non è banale chiedersi perché eliminare l’ex Collegio e mantenere l’ex Caserma, pericolante e di scarso pregio, come evidenziato dagli stessi concorrenti.
L’architettura proposta dall’architetto madrileno è stilisticamente apprezzabile, corretta e non audace. Ben risolta la giunzione dei volumi a monte e a valle di Via Bizzozero, mediante la rotazione di parte dei volumi sovrapposti e la ricucitura con il nucleo urbano esistente. Forse, per un concorso internazionale, ci si poteva aspettare qualche azzardo in più. Rimane l’inaccettabile cementificazione sulle ceneri dell’ex Collegio e il palese disagio espresso dalle immagini, seppure ben elaborate, delle simulazioni prospettiche. La massa volumetrica richiesta dal bando è di tale consistenza da creare uno schermo che impedisce la visione della collina del Montalbano.
Il teatro proposto diluisce la propria monumentalità assumendo gli elementi stilistici dei nuovi edifici in progetto, non potendo assumere il ruolo di predominanza significativa sulla Piazza essendo vincolato ad un sedime improprio.
I limiti dell’esito di questi concorsi sono molti e non imputabili ai concorrenti. La mancanza di una visione globale, di un progetto reale e realistico sulla città produce sterilità ed incapacità di staminalità utili e ragionate. La riduzione del danno, sia in termini urbanistici sia meramente economici, dovrà essere l’impegno di chi governerà prossimamente il destino di Varese.
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