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Parole

LA PRETESA DI RIMUOVERE

MARGHERITA GIROMINI - 15/01/2016

labirintoA proposito di rimozione. Il film “Il labirinto del silenzio” dell’italo tedesco Giulio Ricciarelli, in uscita questo fine settimana anche nella nostra città, affronta l’Olocausto da un punto di vista “interno” alla Germania.

Fino ad ora i numerosi film dedicati alla Memoria dell’Olocausto, negli anni, ci hanno mostrato storie di violenza e di morte, di annientamento delle vittime, ebrei, zingari, omosessuali, avversari politici del regime nazista. Un orrore ripetuto, che noi, che abbiamo avuto la fortuna di poter guardare da lontano, ancora fatichiamo a rielaborare. Abbiamo visto e letto anche del punto di vista dei responsabili, quasi sempre trincerati dietro alla legge dell’obbedienza cieca come Necessità della Storia. Abbiamo ascoltato Eichmann sostenere di essere “solo” un esecutore di ordini, un impiegato cui era stato assegnato il compito di stabilire, matematicamente, il numero di deportati da avviare ad ogni convoglio in partenza per i campi di sterminio. Come se si fosse trattato di numeri di merci e non di donne, uomini, bambini.

Ricciarelli compie un’operazione nuova ma non meno sconvolgente sul piano culturale e su quello emotivo.

Il suo film, ambientato nella Germania post bellica, siamo nel 1958, affronta il delicato tema della dimenticanza, della rimozione, in questo caso forzata, in quanto sono passati solo tredici anni dalla “scoperta” dei campi di concentramento da parte degli alleati, e dell’attribuzione delle responsabilità dell’Olocausto all’intero popolo tedesco.

Il Labirinto del Silenzio ci racconta di finte epurazioni post naziste, come quella di un insegnante coinvolto nella gestione di un tristemente famoso lager, che può tranquillamente ritornare in classe ad occuparsi dell’educazione dei suoi piccoli scolari, belli, biondi e innocenti. Il suo passato di nazista? Dimenticato, cancellato. Nessuna sospensione dall’incarico, come richiedono i pochi battaglieri che non sono stati nazisti. La patria ha bisogno di lui perché gli insegnanti scarseggiano.

Un giovane magistrato (la storia è vera), Radmann, si batte contro tutti, colleghi del Tribunale compresi, perché nessuno dei colpevoli resti impunito. Sfilano nel film giovani tedeschi che nulla sanno, e nemmeno hanno sentito parlare, di ciò che è accaduto e dell’orrore del mondo per i crimini commessi dai nazisti.

Qualcuno, in alto loco, sostiene che si tratta solo della bieca propaganda dei vincitori che vogliono annientare gli sconfitti seppellendoli sotto il peso di terribili menzogne.

Ma chi era nazista nella Germania di Hitler? I padri, i nonni, gli zii, i fratelli maggiori, i vicini di casa della Germania degli anni ’50 del film.

La Germania è una nazione che pretende di dimenticare: la sconfitta disastrosa, i campi di lavoro (“ma ce li avevano anche gli altri!”) e anela a proiettarsi verso un futuro che significherà ripresa economica, benessere e, soprattutto, oblio del passato.

Perché, se rimuovo, dimentico; se nego, le azioni di cui sono accusato non saranno nemmeno esistite. Sulle rovine delle città bombardate fino allo sfinimento della popolazione stanno sorgendo nuove case, si stabiliranno nuove famiglie, nascerà una nuova generazione. E il male (o il Male?) sarà asportato, come un corpo estraneo e pericoloso.

Coraggioso film, questo di Ricciarelli, lineare e trasparente nel suo desiderio di giustizia e di verità. Dove si dimostra che non può esistere autoassoluzione né per il singolo né, tantomeno, per un popolo. Perché la verità scoperchia pozzi senza fondo da cui fuoriescono vicende dolorose, anche personali. Perché nell’adesione quasi totale del popolo tedesco al nazismo, ogni famiglia ne era rimasta coinvolta e contaminata.

Un film i cui sentiremo ancora parlare, con molte candidature a premi internazionali

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