È stata una testimonianza che ha rivisitato le mie convinzioni etiche, civili, religiose, ideali-politiche, esistenziali. Si tratta di tanatologia, di morte, di fine dell’altrui esistenza. È facile nelle conversazioni fra amici, sul treno, sul posto di lavoro, durante una visita all’ospedale sciogliersi in frettolose sentenze sul morire, sulla morte, sulle paure, sulle effimere sicurezze. Ma poi, quando il fantasioso diventa reale, le cose cambiano, si ribaltano, tutta la loro drammaticità viene a nudo.
Si parlava un tempo di etica, quella branca della filosofia che riguarda la relazione fra valori e comportamenti dell’uomo, in sostanza una tensione alla coerenza. Sull’altro lato c’era l’estetismo che subordinava i valori del bello a ogni altra cosa, compresi i valori morali. Etico è tutto quello che riguarda la vita sociale e civile mentre la morale tira in ballo il bene e il male e le forme che attendono la vita privata e pubblica. Ho fatto questa digressione a mio vantaggio per capire di più quello di cui ero spettatore.
Bruno era un ricercatore del magico che c’è nella natura e fuori di essa: si occupava di botanica ma anche e soprattutto di astronomia e collaborava col Centro meteorologico del Campo dei Fiori di cui era stato fondatore e animatore l’indimenticabile Salvatore Furia. Ma si addentrava in altri campi del sapere con curiosa intelligenza dentro la sua visione materialista della realtà. Di fronte al fenomeno religioso affondava subito i suoi paletti della negazione di ogni valore trascendente. Era ateo, anticlericale, non verso l’uomo ma verso l’istituzione che rappresentava. Ma rispettava l’uomo di fede, il credente che si identificava nel prossimo, che praticava la solidarietà come condizione di vita, di relazione, di sentimenti, d’amicizia, di lealtà, di onestà e di moralità.
Sì, la moralità. Severo con sé stesso e con gli altri, negando spazio al dire divorziato dal fare. Si accontentava dell’indispensabile, conduceva una vita tranquilla, senza smodate ambizioni, con gli amici, leggendo libri di vario interesse.
Un giorno dello scorso novembre aveva concesso un’intervista sulla fine della vita, sul biotestamento, sulle sue volontà di essere cremato e di depositare le ceneri sotto un albero del Parco Campo dei Fiori, i cui semi era riuscito a far giungere agli astronauti di una missione spaziale americana. L’aveva chiamato “l’albero della luna”.
Una settimana dopo si sottoponeva a un controllo medico soffrendo di disturbi cardiaci e di difficoltà respiratorie anche a causa del fumo delle sigarette. Una sentenza inappellabile. Il verdetto era: cancro ai polmoni con metastasi diffusa. Bruno reagì davanti ai medici e a quelli che incontrava dicendo: ho meno di un mese di vita, ho vissuto, ringrazio tutti quelli che mi sono stati amici. La vita è stata bella, di soddisfazioni, cosa posso chiedere di più.
Dispose a chi andavano i libri, le cose personali, le sue attrezzature tecniche e scientifiche. Stava in affitto e non poteva vendere o donare la casa. Lo sono andato a trovare nell’hospice dopo otto giorni in corsia d’ospedale. Ha accolto mia moglie e me con un sorriso, seduto su una poltrona. Stanza linda, luci soffuse. Su un tavolino il suo computer sul quale ha lavorato fino all’ultimo. Abbiamo scherzato, ci ha chiesto come avevamo passato le feste natalizie, divagato sulla crisi del Paese, toccato il tema della fede. “Rispetto le vostre idee, ma io credo solo nella natura. Muoio sereno, ho fatto sempre il mio dovere, sbagliando anche, ma sempre disposto ad ascoltare e a correggermi se avevo torto. Mi sento in pace, con me stesso e con gli altri. Vi dispiace se muoio senza religione?”.
“No, Bruno, non siamo i tuoi giudici, siamo tuoi amici che ti vogliono bene. Per noi Dio è un Dio d’Amore che non ama le etichette”.
“Amici, faccio molta fatica a respirare, sono arrivato alla fine, per favore andate via… So che fra non molto il respiro mi mancherà del tutto e arriverà la morte. Tranquillo devo stare ad aspettarla”.
Bruno si è spento la mattina dopo.
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