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Politica

PRIMARIE, A DESTRA NO

MASSIMO LODI - 15/01/2016

palazzoIl centrodestra che a Varese fatica, si contraddice, arranca per trovare il candidato sindaco da opporre a Galimberti, designato dalle primarie del centrosinistra, ha una strada maestra da seguire: consultare i cittadini, imitando gli avversari. Cioè: proporre i suoi aspiranti alla carica, farli pubblicamente discutere d’alleanze e programmi, sottoporli alla scelta popolare.

Così semplice da essere troppo complicato. Perché s’introdurrebbe una novità che confligge con la regola tradizionale delle segreterie partitiche, che prevede/impone trattative, intese, accordi da avviare, stringere, eseguire nel chiuso di riservate stanze anziché nell’aperto della piazza/arena democratica.

Il fatto che i rivali del centrosinistra abbiano affermato (affermino) che esiste la necessità di cambiare il metodo d’insediare gli amministratori pubblici prima e oltre che la qualità del governo municipale, avrebbe dovuto (dovrebbe) indurre i loro concorrenti a non ignorare il messaggio/provocazione. E dire: anche noi, che pure resistiamo al potere conservandolo da 23 (ventitré!) anni, siamo per il nuovo. E dunque abbandoniamo il vecchio sistema delle indicazioni dettate da patti indiscutibili e segreti, e ci offriamo alla libera valutazione dei cittadini.

Tanto più sarebbero tenuti a privilegiare questa svolta quanto più a un insistito civismo richiamano (1) dichiarazioni assortite in vista di Varese 2016; ispirano (2) la nascita d’un movimento neocentrista e neofederalista (ex Udc-Ncd-Forzitalisti); attribuiscono (3) la scelta del successore di Fontana (l’imprenditore Malerba) salvo poi adoperarsi per scaricarlo, contrapponendogli alternative di strapartito (Marsico, Brianza, Bianchi e via ecceterando). Un atteggiamento così palesemente obliquo da evocare di diritto la sorpresa generale.

Dalla metà degli anni Novanta in poi fu l’asse Berlusconi-Bossi a dettare gli equilibri varesini del centrodestra. Ad Arcore, negl’incontri del lunedì sera che valevano un vertice ministeriale, si stabiliva anche la nomination per Palazzo Estense. Il Cavaliere secondò sempre il desiderio del Senatùr, che nella culla del suo movimento voleva un sindaco del Carroccio. In cambio assicurava al sodale (assicurò con fedeltà, talvolta dovendo soffocare i malumori dei militanti) collaborazione su altri versanti, romano/parlamentari principalmente.

Oggi l’asse non esiste più, e gli eredi della gran coppia –svincolati da obblighi di unitarismo- agiscono in piccoli e contrastati spazi di manovra. Sicché la partnership scricchiola, i meccanismi s’inceppano e il decisionismo viene condizionato da uno spirito conflittuale non facile da sedare. Tanto che a un candidato solitario e forte se ne potrebbe (perfino) sostituire un ventaglio di divisi e deboli.

Proprio il contrario di quanto a Varese conviene. Ovvero una competizione in cui si affrontino i migliori duellanti possibili, per ripescare la città dalla deriva peggiorista in cui s’è adagiata. Non altro sono state le ultime legislature, e specialmente l’attuale. Non servono a certificare l’affermazione le classifiche del tenore di vita, basta la graduatoria delle priorità che c’eravamo dati (che s’erano dati gli eletti): ai primi posti non figurano per esempio l’ambiente salvaguardato, la sicurezza cresciuta, la cultura rilanciata. Per non parlare della realizzazione d’infrastruttture strategiche – pensiamo al sistema viabilistico attorno al centro urbano: zero modifiche a fronte del traffico/boom – rimasta una vuota chiacchiera. Vorremmo, vorremmo tanto, che si facesse il pieno di realismo. Sarebbe l’ora.

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