La nostra storia letteraria è una straordinaria fonte di pedagogia educativa. Dentro lo spirito patriottico, nell’ansia di una spasmodica ricerca di identità nazionale, si coagulano valori e sentimenti che scavano nell’animo umano alla ricerca e alla promozione di nuovi sentimenti cui legare il desiderio di rinnovamento del paese. Famiglia, educazione, lavoro, impegno religioso, sono il perno attorno al quale prendono forma poesie e romanzi, racconti e pensieri che vanno oltre il limite ideologico, il contraddittorio politico, rimbalzando dallo spirito profondamente mediterraneo di un popolo che si guarda dentro per dare un senso compiuto alla propria identità nazionale.
Nel caos politico-militare dell’Ottocento il sistema educativo si delinea e si definisce proprio grazie al rigore della vita intellettuale, al geniale impegno di uomini e donne capaci di far precedere l’attività del pensiero a quella convulsiva e in molti casi irrazionale dell’azione. Poeti e scrittori lavorano per indicare le nuove vie da seguire, ricreando un sistema nel quale far nascere e promuovere i nuovi valori, quel finissimo desiderio di unità che anima il cuore e la mente della nostra gente. Si tratta nella maggior parte di uomini illustri, vocati negli studi classici, ma anche di pensatori che impegnano il loro sguardo indagatore e attento nella non facile ricerca di un metodo e di uno stile da affidare al nuovo corso della vita nazionale.
L’Ottocento è il secolo della rinascita, del superamento dei luoghi comuni, quello in cui le invenzioni e le programmazioni trasformano la sudditanza in una libera rincorsa all’autodeterminazione, alla formazione di una coscienza comunitaria. L’Europa delle prevaricazioni e delle dominazioni cede gradualmente il posto all’Europa dell’indipendenza e della sovranità. La libertà diventa elemento trainante, punto di partenza e di arrivo. Il lavoro diventa a sua volta strumento di realizzazione di un nuovo sistema costituzionale, fondato sulla coscienza del diritto e sul rispetto dei doveri.
E’ in questa assonanza/dissonanza di trasformazioni che prendono forma proposte, volumi e racconti di grande spessore formativo. Massimo d’Azeglio, lo scrittore torinese nato da nobile famiglia nel 1798, scrive ne “I miei ricordi”: “…l’ozio conduce uomini e nazioni alla servitù; mentre il lavoro li rende forti e indipendenti, questi buoni effetti non sono già i soli. L’abitudine al lavoro modera ogni eccesso, induce il bisogno, il gusto dell’ordine; dall’ordine materiale si risale al morale; quindi può considerarsi il lavoro come uno dei migliori ausiliari dell’educazione.
Questo bisogno d’ordine è per me natura: i casi della mia vita, una serie di esperienze amare l’avevano aumentato, e le riflessioni fatte lo rendevano ormai irresistibile”. Un Massimo d’Azeglio avveduto e acuto che delinea con grande semplicità e chiarezza la consequenziarietà dell’ordine morale, la forza formativa del lavoro, la sua capacità di rispondere alla domanda delle nuove generazioni. Si tratta di intellettuale capace d’interpretare il risveglio italiano e di indirizzarlo, di creare spazi di riflessione, lanciando messaggi profetici, in grado di precorrere i tempi e di sviluppare nuove attenzioni. Sono in molti ancora oggi a ricordare la sua espressione storicamente ineccepibile, che trova ampi spazi di consenso non solo nella speculazione intellettuale, ma anche in grandi aree antropologiche del nostro paese: “Fatta l’Italia bisogna fare gl’Italiani”. Frase profetica sia per la sua forte carica proverbiale sia per l’acume pedagogico che la caratterizza.
Nell’Italia delle grandi lotte risorgimentali si delineano e si chiariscono le nuove coordinate educative, quelle destinate a diventare il perno attorno al quale si legherà il futuro del nostro paese. La letteratura è una battaglia di libertà anche per Luigi Settembrini, il grande patriota napoletano che ci ha lasciato una straordinaria eredità educativa riassunta nelle sue opere, come l’Epistolario, le Idee pedagogiche. Si tratta di riflessioni di alto contenuto umano e morale. Scrive: “Ciò che ogni padre deve desiderare è, che i suoi figliuoli siano onesti, vivano tranquilli, facciano e dicano come tutti gli onesti, abbiano nella loro coscienza il più bel premio delle loro azioni, e vivano, come tutti gli uomini veramente utili a sé stessi ed agli altri, in un’aurea mediocrità, esercitando un’arte, una professione, un mestiere, senza rumore, senza impacci”. Nella sua accorata e umanissima solidarietà umana e sociale Settembrini colloca il valore dei rapporti generazionali: “Onora i vecchi e ascoltali attentamente, perché i vecchi raccomandano i giovani al pubblico, e li arricchiscono di sapere e di fama”.
E’ estremamente convincente e profondo quando si rivolge ai suoi figli e ai giovani in generale: “Sii buono e amoroso coi compagni; cerca di superarli nello studio e nella diligenza, non di soverchiarli con l’arroganza e la superbia. Guardati però dai cattivi compagni. Cerca di non dire bugie, perché non c’è cosa che avvilisca l’uomo quanto la bugia. Ricordati, può ripetere a buon diritto, dell’esempio e delle parole dei tuoi genitori per farti comprendere e praticare il bene; ogni sera prima di andare a letto considera le tue azioni e domanda a te stesso: “Mia madre e mio padre che direbbero se sapessero quello che ho fatto? Se il cuore ti dice che tua madre e tuo padre l’approverebbero, dormi tranquillo, la benedizione di Dio e dei tuoi genitori sarà sopra di te: ma se la coscienza ti dice che forse non l’approverebbero, ah figliuolo mio, non dormire, non chiudere gli occhi, pensa come correggerti. Non cercare mai d’ingannare te stesso, non giustificare l’errore, e ricordati che è cosa bella e magnanima confessare il proprio torto. Sii leale e franco con te stesso, e sarai leale con gli altri”.
Parole forti, parole ferme, parole tenere, profonde e umane, piene di amore vero per quella gioventù che rappresenta il valore stabile e costante della vita quotidiana. Parole che oggi sembrano lontane, ma che rimangono come valore aggiunto in una società che vuole riprendersi il primato della ragione sulle illusioni e sulle pseudo verità sparse con troppa fretta da demagoghi e illusionisti. Il passato si confronta con il presente e rilancia la sua sfida per tentare una rinascita che non sia troppo vecchia, ma neppure troppo audace nella sua ansia di cancellazione della storia. E’ bellissimo quando ormai convinto di essere prossimo al patibolo estrae le parole del suo testamento verbale: “Io lascio ai miei figli l’esempio della mia vita ed un nome che ho cercato di serbare immacolato e onorato. Dirai ad essi che io, benedicendoli e baciandoli mille volte, lascio ad essi tre precetti: riconoscere ed adorare Iddio; amare il lavoro; amare sopra ogni cosa la Patria”. Scrive Vincenzo Gioberti nella sua opera, “Tra i ricordi di Martino”: “Ma i buoni lavorano per amore del prossimo e quanto più duro è il lavoro tanto è maggiore il merito. Bisogna amare il prossimo come noi stessi…. La pace dell’anima val più di mille zecchini; io lo posso assicurare; e mi avvedo ora che pensai giustamente e pel mio meglio. Vivendo bene si muore meglio; desiderando nulla, si possiede tutto. Non desiderare la roba d’altri. Però non bisogna né disprezzare né offendere nessuno. Se adempiendo a tutti i tuoi doveri non sei ancora in pace con te stesso gli è segno che ignori molti altri doveri che ti incombono. Cercali, adempili e sarai contento per quanto lo sopporti la condizione umana”.
Un altro torinese che illumina un secolo carico di speranze con la sua proverbiale onestà, con la purezza delle sue idealità, rivolte a un paese che si aspetta di capire ciò che sta accadendo, per guardare avanti con maggiore tranquillità, con la certezza di chi sa a cosa va incontro. Messaggi profetici anche quelli di Vincenzo Gioberti. Leggere la nostra storia significa capire chi siamo, da dove veniamo, su quali valori abbiamo costruito il presente e cosa dobbiamo fare per restituire un futuro all’insegna della speranza. Riannodare la storia significa non buttare all’aria un patrimonio d’inestimabile valore sociale e morale, capace di avere ancora un ruolo in una società dominata dalla paura e dall’incertezza. Il pensiero risorgimentale rimane forte e coraggioso, impavido e attento, capace di generare uomini e donne pronti a cambiare la corruzione e la paura in una certezza: rimettere la libertà al suo posto, servendosi di quella ricchezza morale che ha contraddistinto sempre la storia personale e quella comunitaria.
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