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Attualità

GLI SCRIBI E UN “GANASSA”

CESARE CHIERICATI - 08/01/2016

renzi jacopinoNel corso della conferenza stampa di fine 2015 Matteo Renzi ha perso di nuovo un’occasione per stare zitto portando così nuova acqua al mulino di chi, come Giampaolo Pansa, lo definisce “un ganassa” e “un Ciccio bombo cannoniere” con il relativo ameno e assai poco edificante corollario di relative storielle lombardo – piemontesi.

Evidentemente male informato, ha contestato la stato di precarietà contrattuale in cui versa una fetta sempre più ampia della categoria, più volte denunciato dagli organi sindacali e – caso abbastanza irrituale – dal presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Enzo Jacopino. Non solo, ha auspicato l’abolizione dell’Ordine stesso che in sè ci potrebbe anche stare nel quadro di una più generale e quanto mai auspicabile decrescita corporativa della società italiana.

Fin qui niente di nuovo sotto il sole. A destare qualche inquietudine è piuttosto la sua malcelata tendenza all’omologazione, al conformismo del consenso, all’autoelogio ora che, come si diceva a scuola, è lui a stare seduto dietro la cattedra. Come accadeva ad alcuni insegnanti insicuri e non sempre preparati, gli capita di tradire un po’ di nervosismo di fronte a obiezioni fondate e ben articolate.

Quando il presidente dell’Odg parla di 25 mila giornalisti sottopagati, a fronte di un numero di “garantiti” in costante decrescita, denuncia una situazione molto preoccupante. Quando afferma, dati alla mano, che in molte aree editoriali, anche del Nord, girano stipendi netti mensili di 3-400 euro, tasse escluse, apre una finestra su un panorama di sfruttamento assai poco noto.

Soprattutto la denuncia di Jacopino ha turbato il clima da spot del “Mulino bianco” che permea d’abitudine gli appuntamenti stampa con il Presidente del Consiglio. Di qui l’affondo contro l’Ordine professionale e il suo legittimo rappresentante facendo finta di non capire che proprio il precariato selvaggio, le collaborazioni pagate pochi euro, i contrattini di pochi mesi creano le condizione ideali per la crescita di giornalisti con scarsissimo senso dell’autonomia, educati al conformismo e all’asservimento nei confronti dei poteri forti comunque costituiti. Insomma potenziali fucine di candidati yes man per ragioni di sopravvivenza.

Non è una questione secondaria dal momento che il giornalismo, piaccia o meno, è un elemento non certo ininfluente del tessuto democratico di un paese civile e avanzato come l’Italia. Qui non si tratta di difendere la categoria bensì di arginare con gli opportuni antidoti una tendenza inerziale verso il pensiero unico e la subalternità a interessi altri rispetto all’informazione correttamente intesa come attitudine a cercare di far capire cosa sta succedendo intorno a noi.

Jacopino cerca di esorcizzare questi rischi assicurando in prima battuta condizioni di base più accettabili a un mestiere in crisi, alla ricerca di una nuova identità e di una nuova etica dopo i terremoti mediatici degli ultimi quindici anni che hanno generato anche fenomeni distorsivi della professione talmente radicati da risultare orami inestirpabili. Fenomeni che il presidente dell’Odg ha evidenziato con energia e passione in un convegno a Capodarco di Fermo, dedicato alla formazione professionale.

In quella circostanza ha detto che non ci si può rassegnare a un’informazione infarcita da interviste a pagamento, contaminata da interessi di parte, pilotata dal mito dell’audience ricercata anche attraverso la spettacolarizzazione canagliesca del dolore e dei sentimenti, orientata talvolta da giornalisti complici, a corrente alternata, con una parte politica e con l’altra. E pure un po’ becera quando, in occasione delle elezioni regionali francesi, quasi all’unanimità, giorno dopo giorno, ha dipinto l’avanzata al primo turno di Marine Le Pen come un uragano distruttore delle istituzioni francesi ed eversore di quelle europee. Qualsiasi giornalista di discreta cultura sapeva invece dall’inizio che al secondo turno il fiume sarebbe rientrato più o meno negli argini come è puntualmente accaduto grazie al sistema elettorale francese e alla compensazione in chiave moderata che la società transalpina sa trovare nei momenti “difficili”. Ciò nonostante per un’intera settimana il fenomeno è stato amplificato e gonfiato senza badare a spese con inutili inviati sul posto, con collegamenti che nulla aggiungevano a quanto già noto e con immancabili, stucchevoli talk show. Come dire che Annibale deve sempre e comunque essere alle porte, altrimenti che gusto c’è?

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