Nel 1814 con la sconfitta di Napoleone e la conclusione delle grandi vicende militari che avevano ridisegnato a più riprese i confini interni dell’Europa, e contribuito a modificare in maniera indelebile mentalità, orizzonti politici, esperienze religiose, principi di convivenza civile, l’antico borgo di Varese non mancò di afferrare la possibilità di soddisfare la secolare attesa di un innalzamento ad un ruolo qualificato e stabile nel contesto amministrativo e politico dello Stato di Milano: attesa di ottenere un riconoscimento almeno che lo sottraesse dalla totale subordinazione a Como, stabilito dai Francesi. Il 27 giugno 1814 i Deputati della Deputazione di Varese, Piccinelli, Mozzoni Frasconi e Giudici con la collaborazione del segretario Franzosini predisposero un primo testo, nella forma di “supplica” o di “ricorso” che il Comune potesse conservare l’antico lustro, con la richiesta all’Imperatore che Varese fosse innalzata al grado di Città.
Quando poi il dominio austriaco ebbe confermato il suo controllo, e fatti ed informazioni si fecero localmente più chiare e sicure, il 9 luglio 1814 fu consegnata a firma di Piccinelli, Pellegrini Robbione, Rapazzini e Giuseppe Maffei, (ora come Deputazione Provvisoria di Varese), tramite Cesare Carcano Orrigoni al nuovo Governatore in Milano altra richiesta: destinatario era il Feld Marescialllo Conte di Bellegarde che dal suo ingresso in Milano l’8 maggio stava avviando il ripristino della piena giurisdizione austriaca a Milano. I tempi dei due scritti rispecchiano quelli dell’assestamento del nuovo assetto politico-istituzionale verso la creazione del Regno Lombardo Veneto.
Poichè Bellegarde passò ad altro compito senza aver dato evasione a questa pratica, il 17 febbraio 1816 fu predisposta con alcune modificazioni altra copia del ricorso da consegnare nuovamente tramite le mani di Don Cesare Carcano Orrigoni; governatore di Milano era il conte di Saurau, successore di Bellegarde. Accanto ai tre testi datati contenuti nel fascicolo, un terzo testo che reca sul foglio di camicia “Supplica all’Imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città” si colloca, nella stessa finalità, accanto agli scritti precedenti: ma in quanto privo di indicazioni potrebbe essere un promemoria fornito al Carcano Orrigoni o le argomentazioni da lui sviluppate nella sua legazione.
I testi messi a confronto sembrano rispecchiare una comune impostazione di fondo, illustrata con dati alcuni chiaramente inerenti alla temperie storica di trarre vantaggio dal nuovo osannato vincitore, che riprendeva possesso dei suoi domini, e con altri invece peculiari della realtà locale e rivelatori della coscienza e sensibilità degli abitanti del borgo di Varese e dei loro maggiorenti. Sia la scritta sul foglio che avvolge i primi due (“Ricorso onde fosse conservato l’antico lustro al Comune di Varese”) sia quella sulla relazione aggiunta (“Supplica all’imperatore per la conservazione dei Privilegi della Città”) sono incentrati sul termine “conservare”, cioè che a Varese fosse concesso di avere quanto aveva già raggiunto o posseduto; l’obiettivo da raggiungere, prima della richiesta in forma immediata di elevazione del Borgo a Città (qualifica già comunque presente nella memoria non datata), si iscriveva in un ampio orizzonte nel richiamo all’ “antico lustro” e agli “antichi privilegi”: nei termini impliciti di una riparazione storica o di una restituzione di qualcosa che era stato ingiustamente sottratto.
Si intendeva quindi richiamare l’attenzione dell’Autorità a cui ci si rivolgeva sul principio che uno dei primi compiti della sua restaurazione fosse quello di far ritornare le cose alla realtà precedente di un ordine che era stato sconvolto. Queste formulazioni rientravano nel percorso logico di una motivazione pressoché obbligata, cioè di chiedere al sovrano restaurato, che tutte le parti del suo potere fossero riconosciute in quella dignità che era stata offesa dall’usurpatore e che insieme con la sua scomparsa doveva nuovamente essere riconosciuta. Il testo del 27 giugno 1814 iniziava con la “supposizione che possi essere prossima una nuova organizzazione anche nel pubblico ordine amministrativo”, che induceva a dire che “…non potrebbe essere fondata che sopra le leggi più saggie quali si convengono alle Paterne cure dell’Ottimo ed Augustissimo nostro Sovrano…”: così nell’elogio quasi celebrazione del sovrano e dei “suoi felici domini”, la richiesta fatta dal Comune di Varese di conservare il proprio antico splendore, era presentata e delineata come mira intenzionale attribuita ai calcoli e provvedimenti di governo del “Clementissimo e Graziosissimo nostro Sovrano” e già presente nella sua mente: con il discorso sottinteso che la rinascita dell’Impero dovesse estendersi ad ogni sua parte. Nella relazione presentata il 9 luglio 1814 la premessa si amplia e si articola in tre complessi preamboli, che rispecchiano indubbiamente il maturare degli avvenimenti e del giudizio su di essi.
Dallo sguardo rivolto all’Italia risorta al suo antico splendore, alla comune esultanza dei popoli, alla indicazione di Varese come partecipe insieme alla Capitale della Lombardia e alle primarie Città dello Stato, il discorso si volge poi alla celebrazione di Varese nella immagine di sè che negli anni 1814 /1816 era orgogliosa di offrire. Le argomentazioni contenute nei diversi testi sostanzialmente concordano tra loro e giustificano per i richiedenti il possesso di titoli che giustificavano l’innalzamento di Varese a città. Ma la categoria concettuale del “conservare” presenta una declinazione problematica nel confronto con i contenuti storici che intendeva poi portare alla luce.
Infatti la parte riservata alla ricostruzione delle vicende storiche passate si commisura con la negatività di traguardi mancati o solo temporaneamente raggiunti, o in positivo la memoria della gloria raggiunta nel passato o delle conquiste ottenute può solo in alcuni casi porsi in continuità con il presente. L’elogio di Varese quindi si sviluppa così in forma chiaroscurale nel ricordare quello che il borgo di Varese era stato o avrebbe potuto essere: una successione di epoche, vicende, situazioni che si identificano con esiti e esperienze esemplari, ma risoltesi nel tempo, o prematuramente concluse.
Un testo di natura politico-amministrativa per una conquista che fu ottenuta, si rivela a posteriori segnato da rimpianto e nostalgia per un qualcosa che non si era realizzato: sorge il dubbio nello scrivente che possa essere operante pur nello sforzo di una lettura tecnicamente “critica” dei documenti quella componente ineliminabile di soggettività, per la quale il passato racchiude in sè la cifra interpretativa del presente, che la storia sia spesso, se non sempre, attualità.
Comune nei testi la funzione di riferimento che Varese svolge per un vasto territorio in cui ormai si riconosceva: si indica l’esercizio della funzione giudiziaria sviluppatasi in connessione con la crescita civile, con una documentata ricostruzione delle fasi di questo aspetto. Sul versante religioso si ricordavano i floridi conventi, ma senza aggiungere che le soppressioni napoleoniche ne avevano messo in vendita gli stabili e dispersi gli immensi patrimoni culturali; grande rilievo dato al Capitolo e alla chiesa di San Vittore, sempre vicina ad ospitare un vescovato che non fu mai eretto, lasciando Varese nella situazione di una mancata Diocesi, con clero e fedeli costretti a guardare lontano, più rivolti alla memoria dei vescovi passati: Ambrogio e Carlo, che ai vescovi del tempo estranei e rimasti lontani per lo sconvolgimento dei tempi.
Grande elogio e grande spazio alla figura di Francesco d’Este, ma anche la consapevolezza inespressa di uno splendore rimasto senza seguito, duca alla cui scomparsa (possiamo noi aggiungere) seguì la soppressione di un ginnasio superiore, rimpiazzato con scuole che non potevano pareggiare più con quelle di Como, mentre nella creazione della scuola di Varese nel 1774 vi era una cattedra di matematica e filosofia immediatamente smantellata nel 1780, rimpiazzate da scuole esaltate nel primo documento: da notare che nel Ginnasio di Como dal 1774 insegnava Alessandro Volta, poi chiamato a Pavia, mentre il frate e matematico varesino Ippolito Bianchi svolgeva la stessa funzione nel Ginnasio di Varese: Como e Varese erano istituzioni e insegnamenti di derivazione gesuitica.
Ma nel passaggio alla seconda richiesta del 17 febbraio 1816 ci si rese conto, con un affinamento del senso storico, che la figura del Duca era quella che poteva rappresentare la carta più valida per ottenere ascolto dalle orecchie dell’Imperatore d’Austria, il vivente Francesco, figlio di Leopoldo e nipote di Giuseppe II.
Si iscrive positivamente quasi eredità riconosciuta al ruolo impresso dal Duca al borgo l’innalzamento di Varese a sede di Intendenza politica: il collegamento è implicito con un riconoscimento cronologico che esalta prima la concessione fatta da Giuseppe II alle due fiere annuali concesse per proseguire con l’opera del Duca, in un passo che trascriviamo: “….Qui fino da remoti tempi furono dal cuor Clemente de’ Monarchi determinati tre mercati in ciascuna settimana. Qui fecero fiorire il commercio, e qui dall’Augusto Cesare Giuseppe II vennero concesse due annuali fiere, che feconde di vantaggi, tuttora esistono. Qui finalmente per la somma clemenza e predilezione a così Magnifico e rinomato Borgo, fu questo eretto in Signoria dalla tanto ben amata e pianta Imperatrice Regina Maria Teresa per S.A. Serenissima Francesco III d’Este Duca di Modena di sempre cara e gloriosa ricordanza. Conobbe L’A.S.S. li molti privileggi per cui ebbe luogo tanto luminoso ne fasti; e quindi emulando in generosità li primi Clementissimi Dattori si degnò confermarlo negli antichi Diritti, de’ quali era in allora al possesso, e di versare sopra di esso e sopra tutte le classi di persone queste Magnifiche e Paterne beneficenze che potevano accordarsi anche in mezzo all’ossequio dovuto alla Imperatrice Sovrana Regnante. Invidioso però il fato per tanta gloria che circondava Varese rapì il Principe all’amore e alla riconoscenza di questa Popolazione; ma non lo tolse alla memortia di quella presente e di quella futura generazione.
Sebbeo orfano per la perdita di questo Magnanimo Signore, fu mai sempre presente a suoi sovrani, e nel 1788 fu anche distinto col destinarlo a possedere una Regia Intendenza politica Provinciale….”.
La relazione prosegue illustrando tutte le altre riforme introdotte per Varese anche dalle autorità austriache dal 1791 per giungere poi alla dominazione francese e liquidarla con un amaro giudizio: “In tali adombrati tempi se tutta l’Italia ebbe a sofrire infinite modificazioni anche Varese ramenta le proprie..”.
Elencando poi le concessioni oramai definite (1816) a favore di Varese nel riordino amministrativo dello Stato (Centrale di Dipartimento, Pretura con Tribunale di Prima Istanza, vice Prefettura) si dichiarava che “queste magistrature anche in mezzo all’utilità e grandezza loro lasciano un vuoto all’universale desiderio”, cioè di essere riconosciuta come “Città” e su questa richiesta il testo proseguiva e si chiudeva.
Non si incontra riferimento a Como, da cui si dipendeva come Capoluogo, ma solo indirettamente per dire che “questa Comune” di Varese (“Comune” ancora alla francese, al femminile!) è la seconda del Dipartimento del Lario (nel doc. 27 giugno 1814).
Con Notificazione del 6 luglio 1816 si esprimeva la sollecitudine governativa che “Sua Maestà l’Imperatore e Re con graziosa Risoluzione del 14 giugno prossimo passato si è degnata di innalzare il Comune di Varese al rango di Città, e di accordare al medesimo una Congregazione municipale”.
Dedico questo mio testo alla memoria del carissimo professor Luigi Zanzi
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