Anche in Spagna ha vinto il Partito del “voto contro” con il rischio di disgregare il sistema politico e la governabilità, in una fase di grande difficoltà, per un Paese in cui la democrazia ha radici molto fragili.
Le democrazie contemporanee occidentali stanno attraversando una fase di cambiamento che suscita grande interesse e anche molta preoccupazione. L’opinione permane negativa verso la politica ma oltre gli innegabili difetti e omissioni c’è anche un ritardo psicologico dei cittadini a motivo del quale si pensano ancora nel Novecento e non smettono di chiedere alla politica soluzioni ambiziose come quelle che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso.
Dal canto suo la politica non trova la capacità di contrastare questo ritardo, spesso lo sfrutta per fini elettorali e finisce per aggravarlo, ostinandosi a promettere grandi cose che però non è in grado di mantenere perché il ventesimo secolo è davvero finito. Ne consegue uno stato di frustrazione collettiva in cui emerge la perdita del senso della realtà che fa ritenere possibili soluzioni del tutto improponibili e la ricerca del capro espiatorio che spinge a identificare un colpevole e a sperare che, eliminato quello, tutto possa risolversi magicamente.
E’ il caso delle banche commissariate che hanno bruciato i risparmi di molti clienti. Certamente
il governo (di oggi ma anche di ieri) avrebbe potuto fornito maggiori e più chiare informazioni sui titoli venduti e, per quelli a rischio, impedirne la vendita ai privati, ma una soluzione alternativa non c’è; lo Stato, per una disposizione europea accettata da tutti, non può fornire mezzi pubblici per sostenere attività economiche private e la inevitabilità del fallimento avrebbe messo sulla strada migliaia di dipendenti senza salvaguardare i risparmiatori.
Si pensa invece che ci siano sempre soluzioni semplici a portata di mano, appare indecente che non le si attuino subito e prevale l’antico vizio italico del “tanto peggio, tanto meglio”. E’ in questo contesto di frustrazione che crescono i movimenti populisti per i quali le soluzioni ai problemi complessi sono sempre semplici, sono nostalgici di una politica forte che purtroppo non c’è più perché sono mutate le condizioni del mondo.
Perché siamo così riluttanti a uscire dal novecento? Perché agli europei non è mai andata così bene per così tanto tempo, com’è accaduto in Occidente nella seconda metà del secolo: una pace ininterrotta mai vista prima al posto delle guerre ricorrenti, una prosperità crescente invece delle situazioni di miseria, un Welfare State che ha sollevato le famiglie da molti oneri per la salute, la scuola, la previdenza.
Il sogno dello Stato che interveniva sempre per lenire le condizioni di bisogno è stato così bello che non abbiamo nessuna voglia di svegliarci e così finiamo per scartare tutti i governi che non si dimostrano capaci di ripristinare la politica del “bengodi” e riponiamo la nostra fiducia sull’uomo della provvidenza di turno.
I partiti sono a un punto di discredito e fanno fatica a resistere all’antipolitica; si sono disgregati con le loro strutture, le loro dottrine, le contrapposizioni classiche, destra e sinistra sono evaporate ed esistono sfumature che a malapena riescono a distinguere tra un orientamento liberal che mette in evidenza il merito, l’individuo, il liberismo e una visione che mette in rilievo l’intervento dello Stato e preferisce il solidarismo. Il problema è che i due orientamenti, abbastanza simili, non producono alcuna differenza sostanziale. Il successo dei “grillini” e la loro immediata riconoscibilità dipende proprio dall’incapacità di governare dei partiti classici ma anche dalla loro inadeguatezza a produrre programmi seri distinguendosi gli uni dagli altri; non emerge nulla di originale anche perché le decisioni vere si prendono fuori dai confini nazionali e in questo contesto emerge la drammatica crisi di leadership di cui non solo l’Italia ma tutta l’ Europa è vittima.
Le ideologie sono morte, il guaio è che mancano le idee.
La crisi che il Paese sta attraversando è preoccupante ma la percezione della sua gravità non è adeguata: non ci si rende ben conto che le radici di queste difficoltà riguardano la tenuta morale della società prima che l’economia. Lo sforzo da affrontare è immane, paragonabile soltanto alla ricostruzione post-bellica.
Cresce l’erosione del tessuto morale, storicamente fragile in Italia: ognuno si rinchiude nel proprio particolare, cerca di adattarsi e di difendersi dalle difficoltà contribuendo a far crescere la sfiducia nel futuro, e si manifesta una debole volontà di assumersi rischi e quindi di lavorare insieme con altri.
La politica non sembra capace di contrastare questa deriva, anzi contribuisce ad alimentarla perché non è in grado di assicurare il normale funzionamento delle istituzioni pubbliche ed è essa stessa affetta da un decadimento morale. E’ sempre meno mossa da una visione degli interessi collettivi ma piuttosto dalle convenienze dei leader e dei loro seguaci a perseguire un opportunismo autoreferenziale. L’indebolimento dei partiti è una causa fondamentale di questi esiti;
i partiti non sono più quelli degli anni Cinquanta e Sessanta ma esistono e svolgono la funzione essenziale e insostituibile di selezionare una classe politica legata a un progetto per affrontare i problemi collettivi. Da noi per anni ci siamo esercitati nella critica ai partiti; l’obiettivo di indebolire e smantellare i partiti è stato raggiunto, ma insieme ad esso sono arrivati l’ulteriore degrado della classe politica e l’affermazione di partiti personali. Abbiamo così partiti deboli nelle mani di leader improvvisati e condizionati dai loro problemi di consenso o anche di difesa dei loro interessi privati.
Possiamo credere che la nostra politica attuale possa affrontare quello sforzo straordinario di ricostruzione sociale e di rinsaldamento del tessuto morale che sarebbe necessario?
E’ una illusione pericolosa condivisa da quanti, dopo aver sostenuto il bipolarismo senza partiti, auspicano adesso un sistema elettorale capace di dare un potere più forte al governo, senza rendersi conto che lo sforzo che richiede la ricostruzione morale istituzionale è al di là delle possibilità di questa politica debole.
Ma l’iniziativa deve coinvolgere una larga parte dei cittadini e lo stesso ceto politico; un piccolo segno incoraggiante è avvenuto proprio a Varese dove le “primarie” del Partito Democratico hanno visto emergere il giovane “ outsider” Davide Galimberti invece del blasonato Daniele Marantelli, sostenuto da tutte le gerarchie del partito.
E’ un segno, quasi impercettibile, che c’è nostalgia per una politica alta e di contenuti concreti come era una volta.
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