Atmosfera natalizia: alberi addobbati, ghirlande di luci sui balconi, stelle pendenti sulle vie del centro, colonne di auto a tutte le ore, negozi e regali, regali e negozi, buonismo mieloso da panettone-bùttati-ch’è- morbido. Desiderio di fuga, di un approdo silenzioso.
Provo a ritornare con la memoria in Israele e nei luoghi santi, dove andai nel 2010. Non era Natale, ma spero che il ricordo possa favorire la riflessione e farmi respirare un’atmosfera meno artefatta. Illusione. Apro il diario di quel viaggio, alla pagina in cui parlo della visita alla Chiesa della Natività, a Betlemme, ed ecco quello che leggo.
“Eli, la nostra guida israeliana, non può accompagnarci, perché Betlemme si trova nei territori controllati dall’Autorità Palestinese. Superiamo, quindi, con l’autista arabo il muro che Israele sta costruendo e al di là troviamo Giorgio, la guida palestinese di religione cattolica. Anzitutto dobbiamo entrare in un negozio di artigianato: rientra negli accordi tra Israele e l’Autorità Palestinese sulla sicurezza del turismo. Quando usciamo, siamo assaliti da un’orda di ambulanti che ci seguono fin sul pullman pur di venderci la loro mercanzia”.
Comincio a pensare che, forse, aprire questo file non sia stata una buona idea. Però le righe successive mi pare promettano meglio. Continuo a leggere.
“Riusciamo comunque a raggiungere la Chiesa della Natività. Costruita una prima volta nel IV secolo, durante l’impero di Costantino, e poi ricostruita nel VI sotto Giustiniano, conserva intatto il fascino delle antiche pietre: mura semplici e possenti, colore caldo, assenza di decorazioni. Tutto sembra indurre al raccoglimento. Anche la porta “dell’Umiltà” sembra fatta apposta per suggerire una riflessione, così bassa e stretta che per superarla bisogna chinarsi. Poi, però, veniamo a sapere che fu rimpicciolita durante il periodo ottomano per impedire ai predoni di entrarvi con i carri. Molto meno suggestiva.
“Dopo una breve coda, entriamo e qui tutto il fascino svanisce. Ci troviamo in un cantiere: impalcature dappertutto, senza nessuna protezione; assi che vengono calate dall’alto mentre i visitatori si affollano lungo le navate. Scatto un paio di foto che, anche se risultano sfocate, decido di conservare perché mi ricordino l’assurdità della situazione. Penso: forse nella Chiesa della Natività sperano nel miracolo!
“Finalmente riusciamo ad avvicinarci al luogo dove per tradizione si vuole sia nato Gesù: in un tripudio kitsch di ori, argenti e stucchi notiamo sul pavimento una stella con al centro un foro. Pare che quello sia il posto. Le persone che mi precedono fanno passare su quel foro i loro sacchetti pieni dei souvenir appena acquistati: perché ricevano una virtuale benedizione? Perché siano caricati di energia positiva? Non capisco. Resto basita. Poco più in là si trova la mangiatoia. Di paglia, immagino. Ingenua! Anche questa ricoperta d’oro…”.
Basta. Smetto di leggere. Decisamente non è stata una buona idea aprire quel file.
Poi, stamattina accendo la radio e sento la voce di Papa Francesco: “Se vuoi trovare Dio, cercalo nella povertà e nell’umiltà”. Chissà.
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