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Urbi et Orbi

MEMORIA DI GUARESCHI

PAOLO CREMONESI - 23/12/2015

guareschiDa anni, seguendo l’indicazione di Thomas Eliot nella Coltura degli alberi di Natale (“Poiché l’inizio ci ricorderà la fine, e la sua prima venuta, la seconda venuta”) associo il 25 Dicembre, tra tanti ricordi, anche ai racconti di Giovannino Guareschi. Forse perché uno dei primi libri avuti in dono fu proprio una copia del “Don Camillo”; forse perché le atmosfere della Bassa, le nebbie, i pioppi, il fiume, dei miei genitori riportano più facilmente al vivere contadino.

Guareschi ha scritto molto sul Natale. Nello Zibaldino (Natale del ‘47), nel Decimo clandestino (La Notte dei miracoli) e appunto nei libri di Don Camillo (Giallo e rosa, Il dono mancato, solo per citarne alcuni). Ma é con Favola di Natale che lo scrittore emiliano ci consegna la sua riflessione più compiuta.

Siamo nel dicembre 1944, Gulag XB di Sandbostel, Sassonia, dove Guareschi è recluso con altri soldati italiani. La sera del 24 dicembre, insieme al suo amico Arturo Coppola che lo accompagna con una fisarmonica, racconta ai compagni di sventura una storia: “Venne eseguita da un gruppo di pezzenti come me, pieni di freddo, di fame, di nostalgia: le tre muse ispiratrici”, ricorda.

Favola di Natale descrive il viaggio che Albertino, figlio dell’autore, la nonna e il cagnolino Flick, compiono verso il campo di concentramento in cui si trova il padre. Durante la traversata la combriccola fa conoscenza di funghi parlanti, cornacchie canterine, oggetti animati, angeli e tante altre stranissime creature. La storia si conclude con un tanto povero quanto miracoloso pranzo di Natale in cui i quattro finalmente si abbracciano prima di tornare ciascuno da dove è partito.

Un delicato modo di esorcizzare l’angoscia della prigionia con l’arma dell’ ironia. Per dare una idea della potenza del racconto basta citare questo brano in cui una poesia di Natale, sotto forma di uccellino, vorrebbe volare dai carcerati ma incappa nelle maglie della censura tedesca: La Poesia continuò zampettando il suo cammino e finalmente arrivò al confine ma, appena attraversata la siepe, una rete le piombò addosso ed eccola prigioniera. «Ah! Ah!» sghignazzò un omaccio vestito di ferro avvicinandosi con una lanterna. «Dove vai? Chi sei? Cosa porti scritto sulle ali? Spionaggio?».

E la Poesia a spiegargli chi fosse e dove andava, e quello a insistere sospettoso. Alla fine parve convinto e, inforcati gli occhiali, cominciò a leggere i versi scritti sulle ali ‘Din-don-dan’: la campanella questa notte suonerà…

«No!» disse. «Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!». E, con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò molte parole. Poi, di lì a poco, scosse ancora il capo: “Una grande, argentea stella su nel ciel s’accenderà…”.

«Niente! Contravvenzione all’oscuramento!» disse. E giù pennellate nere. “Latte e miele i pastorelli al Bambino porteranno…”. «Niente! Contravvenzione al razionamento!» borbottò. E giù ancora col pennello. “I Re Magi immantinente sul cammello saliranno…” «Niente!» urlò furibondo. «Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re!» E giù pennellate grosse così ”.

Ma il Potere per quanto arrogante e articolato sia, nulla può davanti al cuore dell’uomo. “Signora Germania tu mi hai messo in mezzo ai reticolati perché io non esca. Ma è inutile Signora Germania: io non esco ma entra chi vuole. I miei affetti, i miei ricordi. E questo è ancora niente, perché entra il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti. Per te, signora Germania, è una grande fregatura” (Diario clandestino).

La scomparsa poche settimane fa dell’adorata figlia, Carlotta e il ricordo di Guareschi fatto da papa Francesco il 13 novembre, nel discorso ai vescovi della Cei a Firenze, riportano oggi più che mai d’attualità la figura dello scrittore. E con lui quella degli umili e dei semplici: “ Perché il Figlio di Dio possa, ancora una volta, schiudere gli occhi degli uomini alla luce” (Favola di Natale).

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