Nel 2000 una legge dello Stato italiano istituiva “la Giornata della Memoria” da celebrarsi il 27 gennaio nella ricorrenza della Liberazione, da parte delle truppe sovietiche, dei prigionieri sopravvissuti nel campo di sterminio di Auschwitz. È stato utile istituire questa giornata celebrativa “per non dimenticare” la tragedia dell’Olocausto? Certamente sì. Non vi è dubbio che, grazie all’isti¬tuzione di questa ricorrenza, i momenti di celebrazione e di riflessione organizzati in Italia siano stati numerosi e le iniziative promosse da enti e scuole siano cresciute progressivamente.
In questo senso l’istituzione della Giornata ha avuto una funzione positiva: è servita a stimolare una riflessione più ampia e diffusa su una delle tragedie più mostruose di tutta la storia dell’umanità, ma tutto ciò come era prevedibile ha comportato anche il rischio di una banalizzazione della memoria.
Oggi si tratta di evitare che l’eccessiva ritualizzazione della manifestazione unitamente al progressivo allontanarsi nel tempo dell’evento, svuoti il rito commemorativo di ogni forza ed efficacia morale e civica, come in parte è avvenuto per la Resistenza, contribuendo all’assuefazione e all’estraneità della memoria, che Primo Levi vedeva materializzarsi sempre di più con la scomparsa continua degli ex internati dei lager: i testimoni oculari della tragedia. Prima di morire lo scrittore aveva rilasciato un’intervista alla radio tedesca nella quale spiegava che da anni riceveva molte lettere dai ragazzi che avevano letto i suoi libri: parlavano delle vicende dei lager come di qualcosa che non apparteneva più alla loro generazione, eventi sbiaditi che si perdevano nel tempo.
Ciò lo spinse a scrivere “I sommersi e i salvati”: un libro per la verità e contro l’oblio, contro i tentativi dei negazionisti di falsificare la storia. Oggi a sessantasette anni dalla Shoah si pongono alcune domande stringenti: come intercettare i segnali che ci vengono da quella stagione di morte e disumanità? Come far tesoro per il futuro immediato di quella lezione drammatica e consegnarla in forme comunicative nuove, motivanti ed interessanti alle giovani generazioni? Come tramandare la memoria dopo la scomparsa degli ultimi sopravvissuti? Come fare in modo che il sacrificio di tante vite umane stroncate dalla ferocia nazista, non sia stato vano? Come continuare ad alimentare la memoria tra i giovani come hanno fatto e stanno facendo gli ultimi superstiti dai lager?
Penso che la risposta a questi quesiti sia essenzialmente quella di mantenere fortemente vivo il ricordo di quell’immane rottura d’umanità”, rappresentata da Auschwitz. Il ricordo, dice Wiesel, è l’unico antidoto contro l’oblio; ricordare è compito di tutti e in particolare degli storici, ma anche degli educatori. È la scuola soprattutto che deve educare i giovani alla memoria e insegnare loro a raccogliere il testimone dei tanti sopravvissuti che vanno scomparendo. È necessario quindi trasformare sempre più giovani in “sentinelle della memoria” o se si preferisce in “candele della memoria” perché le loro fiamme non si spengano mai, ma si alimentino ogni giorno di più, passando di generazione in generazione a rischiarare le menti ottenebrate dal fanatismo, dall’antisemitismo, dall’odio e dal razzismo xenofobo.
I viaggi d’istruzione con visita anche ai campi di sterminio, organizzati dalle scuole possono essere un valido antidoto contro l’oblio e un formidabile strumento di crescita. In fatti dice lo storico Enzo Traverso: “Una visita a un lager nazista può avere un impatto emotivo fortissimo se preparata può rivelarsi uno strumento pedagogico insostituibile”.
Ed è quello che emerge dalla bella e toccante relazione fatta da una mia ex allieva, Eleonora Tamborini del liceo Classico Cairoli, di Varese, della classe seconda liceo A, al ritorno dal viaggio d’istruzione a Praga, Mauthausen e Terezin, che potete leggere in allegato (RELAZIONE SUL VIAGGIO A MAUTHAUSEN). L’allieva poi raccogliendo “il testimone” si è recata insieme ad altri suoi compagni come “sentinelle della memoria” nelle scuole della provincia a relazionare sulla sua esperienza per mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto.
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