C’erano una volta modi di dire che con il tempo sono stati sostituiti da altri meno fantasiosi, certamente più diretti e molto più volgari. Per descrivere una lite accesa e pesante nelle conseguenze per esempio spuntò e si diffuse la frase “bott de legnamé”. Avendo trascorso adolescenza e gioventù in una popolosa periferia industriale – venuto il tempo, solo quattro ragazzini su un intero battaglione sarebbero stati iscritti alla scuola media – per anni mi fu possibile verificare il buon carattere e la laboriosità di alcuni eredi di San Giuseppe, mentre rinunciammo a usare il “tires via, te set minga el fioeu del vedriè” a chi ci ostacolava la visuale nelle più disparate occasioni
Era un silenzio di rispetto, solidale perché il figlio del vetraio c’era davvero, si chiamava Giuanin ed era di una magrezza spaventosa: visto da lontano quando arrancava su una vecchia pesantissima bicicletta, a volte il suo corpo sembrava una parte del telaio.
Furono anni in cui l’avvicinarsi del Natale spronava un po’ tutti a moderare il linguaggio, a guardare al prossimo con occhi diversi, a condividere con i meno fortunati situazioni pesanti. Forse questo accadeva perché aveva ancora una dimensione il ricordo della guerra e si viveva in ambiti dell’informazione e della comunicazione microscopici rispetto ai giorni nostri che ci vedono scioccati e sofferenti per disastri che accadono nell’altre metà del mondo e informatissimi su quanto accade nelle nostre città.
Natale 2015-Capodanno 2016, il tempo di un articolo augurale, ma il diavoletto della cronaca insidia sempre i suoi adepti e così c’è una soffiata che mi ricaccia al lavoro, sempre su temi d’attualità, la conflittualità, le botte.
Non ricordo oggi espressioni particolari per definire la litigiosità tra avvocati provocata non da questioni giuridiche, il loro pane quotidiano, però, a due passi dal Natale ecco che prendono consistenza due situazioni di pubblico contrasto proprio tra le toghe. La prima è la sola al momento a essere un tantino nota ed è legata agli incarichi politici che sono una sorta di buoni del tesoro infruttiferi per i primi anni, ma a lungo andare premianti se si è dimostrata perizia nel gestire la cosa pubblica come volevano gli elettori.
Ed ecco la seconda possibile causa di sane randellate tra gli iscritti allo stesso ordine professionale. Ancora oggi diventare avvocato in Italia non è una passeggiata: studiare e prepararsi bene non sempre è sufficiente perché dopo la laurea chi vuol fare la professione è atteso da temibili griglie di esami. La selezione era molto pesante poi, ogni villaggio ha i suoi minus, ecco che l’Europa che, dopo avere imposto lunghezza e circonferenza dei cetrioli e avviato il progetto del formaggio in polvere, offre facilitazioni ai laureati in legge che scelgono la professione. Un livellamento di opportunità che in Italia, veramente patria del diritto grazie ai romani d’antan, va contro la tradizione degli studi severi. Succede infatti che dopo essere diventati “abogados” in Andalusia, ai principianti avvocati italiani bastano tre anni di attività in uno studio per diventare legulei a tutto tondo, né più né meno dei colleghi che hanno dovuto fare ben altri sacrifici ed esami per entrare nella Formula 1 della loro categoria.
Non è proprio una notizia natalizia questa, ma so che c’è un bel fuochino sotto la cenere del “prete”, così lo chiamava mia nonna Genesia, che lungo l’arco alpino riscalda i letti e le notti arrabbiate degli avvocati di casa nostra che trascorrono le ferie in baite o nei due localini di famiglia.
Non so se gli abogados abbiano già gonfiato le file dell’esercito forense che varca le porte di piazza Cacciatori delle Alpi, al momento ignoro pure se alcuni di loro militano negli studi dei legali bosini in lizza per il Gran Premio Palazzo Estense, sta di fatto che se semifinali e finale per il titolo di sindaco dovessero, come sembra, essere riservate ai professionisti della difesa dei diritti dei cittadini, potrebbero esserci sbandate e contestazioni a causa di situazioni esterne, come lo strisciante, silenzioso tentativo di rivoluzione interna a favore degli abrogados.
Sarà comunque infuocato lo sprint finale per la poltroncina del comunello di Varese, malridotto dopo anni tribolati anche per situazioni ed errori non tutti imputabili alla coalizione che lo ha gestito: anche Roma e Milano hanno fatto la loro parte per non evitare l’arretramento varesino che è sotto gli occhi di tutti ed è confermato da qualche statistica.
Non saranno bott de legnamé, ma nemmeno una passeggiata con lanci di fiori le prossime elezioni. Anche la politica avvelena un pochino il nostro Natale. Troppo entusiasmo per avvenimenti normali: ai 2700 voti delle primarie che il Pd ha “fatto sue” trasformando in un trionfo un buon risultato, occorre sottrarre i tanti voti per la città nuova proposta da Daniele Zanzi.
La sicurezza della Lega nel candidare un galantuomo e basta, Stefano Malerba, ha inoltre portato a una iniziativa in qualche misura sovversiva come la richiesta ufficiale a Salvini di un altro candidato.
Gli azzurri hanno accelerato udienze e benedizioni da parte del loro papa gallaratese, ma sono preoccupati per il frazionismo della destra sul quale grava il veleggiare ciellino in cerca di un porto amico e in grado di offrire ricchi rifornimenti. Insomma altro che pastori e cornamuse, è un
Natale di tensione nella nostra politica.
Sembra che tutti abbiano preso paura dopo lo striptease mediatico del vincitore delle primarie Pd, l’avvocato Galimberti, presentato come una potenza in fatto di preparazione e di “maniglie” anche in campo avverso. Sicuramente è svelto come un gatto se è vero che chiudendo egli l’incontro dei candidati alle primarie non abbia perso l’occasione per ricordare la necessità del rinnovamento rispetto al passato. Può essere sembrata una sorta di rottamazione soft per Daniele Marantelli. Comunque non elegante.
Ma sarà poi vero che a Varese nel 2016 ci sarà una svolta nella gestione del potere?
Auguri cari a tutti, speciali per Valerio Crugnola che ha pagato con un ricovero in ospedale il suo grande impegno nella campagna per le primarie.
E lasciatemi ricordare Gaspare Morgione, che manca a tutti. Ogni tanto mi sorprendo a immaginare come e quanto abbia già fatto ridere chi gli sta accanto.
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