La sera della vigilia di Natale del 1944 qualcuno suonò il campanello nella casa di viale Sant’Antonio, piuttosto fuori mano rispetto al non lontano centro di Varese. Il padrone di casa, signor Colombo, titolare del rinomato studio fotografico di via San Martino, aprì la porta con titubanza e cautela dati i tempi tristi in cui si viveva allora. La gioia si stampò sul suo volto quando vide che l’ospite inatteso era l’amato nipote Mario Ossola. Il giovane era stato arrestato dai fascisti nell’Ottobre precedente perché sospetto di attività illegale contro il regime insieme a tutto il comitato clandestino della Democrazia Cristiana. Per non dare nell’occhio i giovani cattolici si riunivano nel convento dei Francescani in viale Borri, quello sì lontano e isolato, per discutere di libertà e per metterla in pratica con coraggiose azioni che sottrassero alcuni perseguitati dalle mani dei loro aguzzini. Le spie fasciste erano però state allertate e pur non disponendo di prove certe arrestarono il giovane studente in medicina nella abitazione di famiglia di via Cavour e lo mandarono nel carcere di San Vittore.
Dopo alcune settimane di detenzione fu destinato ai campi di concentramento in Germania ma durante il trasporto accadde una serie di fatti che ha dell’incredibile. I detenuti erano stati fatti salire su un vecchio autobus “articolato” e durante il viaggio, il giovane Ossola aveva notato che la giuntura tra i due corpi dell’antiquato veicolo si stava sfilacciando e prontamente si dette da fare per ampliare la breccia. In un momento di distrazione delle guardie Mario si buttò dalla corriera e, pur ammaccato, si trovò libero. Raggiunse con qualche fatica Milano dove cercò invano ospitalità e fu costretto a girovagare in una città paralizzata dal terrore.
Fu nuovamente raggiunto e arrestato da un gruppo di “repubblichini” che senza indugio schierarono il gruppetto di presunti renitenti coinvolti nella “retata” contro il muro di un edificio per la immediata fucilazione. Mario si rese conto che era giunto il momento della fine: chiuse gli occhi e raccomandò la propria anima a Dio. Sfinito per la stanchezza e l’emozione si appoggiò alla parete, anzi ad una porta la quale non era chiusa a chiave e alla pressione del suo corpo si aprì facendolo scivolare dentro l’edificio mentre i mitra falciavano gli altri compagni di sventura. Forse svenne e non si rese conto di essere l’unico sopravvissuto tra una decina di morti ammazzati. Poi prese il treno e raggiunse Varese ma non l’abitazione famigliare che temeva fosse sorvegliata dalla polizia ma quella degli zii Colombo i quali, tramite un telefono amico, informarono i genitori. Fu il più bel regalo di Natale che mamma e papà Ossola ricevettero nella loro vita. Mario Ossola è oggi ricordato come uno dei più validi e apprezzati sindaci del capoluogo ma la morte, a cui era sfuggito nel lontano 1944, si riprese la sua rivincita con un tumore ai polmoni che lo colpì, a soli 61 anni, nel 1986. Lui, che era un grande tisiologo, direttore del Consorzio Antitubercolare, si fece l’auto-diagnosi e previde esattamente il breve tempo che lo separava dall’eternità. In questa santa notte gli dedico questo ricordo affettuoso e riconoscente.
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