Le elezioni francesi che si sono svolte, al primo turno, hanno visto un successo clamoroso del movimento populista di Marine Le Pen che però al secondo turno ha stretto meno che un pugno di mosche; i commenti si sono sprecati senza però cogliere il senso del cambiamento verificatosi in Francia e il malessere profondo di quel Paese.
I voti al Front National arrivano in gran parte dalle classi popolari; molti elettori hanno votato comunista per anni. È il voto dei delusi, di un Paese profondo al quale la politica non sa più parlare. È un voto contro le élités politiche che governano partiti privi di contenuto, un voto contro la tecnocrazia di Bruxelles e, naturalmente, un voto di paura dopo gli attentati di Parigi.
Sarebbe però un errore pensare che i francesi abbiano votato il Front come forma di protesta contro il terrorismo e l’immigrazione, la gran parte si rende conto che questi fatti accadono per dinamiche esterne all’Europa.
Il populismo è un fenomeno che da tempo interessa tutto l’Occidente e che ha più a che fare con la crisi economica e la disoccupazione che si aggiungono ai rischi ambientali e alla diffusione di malattie rare, come l’Ebola, che minano alla radice la capacità di sperare in un futuro migliore.
I risultati delle due tornate elettorali hanno dimostrato che nelle regioni ove è più alto il tasso di disoccupazione tanto più forte è il successo dell’estrema destra. Nell’affermazione del Front c’è anzitutto la sofferenza di una nazione che punisce i due grandi partiti che in questi anni l’hanno governata: il Partito Socialista di Hollande e l’’ex Ump di Sarkozy.
Eppure alla Francia non è stata applicata, diversamente dall’Italia, la cura dell’austerità imposta dall’Europa; i parametri economici sono infatti peggiori. La pressione fiscale in Francia è oltre il 44%, la più alta dell’Unione dopo la Danimarca, ma la spersa pubblica è al 57,2% del Pil, ben oltre il 51,1% dell’Italia e il 49,3 della Grecia; austerità e flessibilità non risolvono la crisi economica e non hanno incidenza significativa sulla disoccupazione; non sarebbe utile pensare all’esorbitante peso del debito che affligge tutti i Paesi europei?
Il Front National primo partito di Francia per numero di consensi cambia il paradigma politico di un Paese fondatore dell’Unione europea e apre una dinamica imprevedibile nel vecchio continente; è un voto che segna qualcosa di molto più profondo, è il superamento dello schema politico novecentesco che si stacca dalle categorie nelle quali si sono formati i partiti delle democrazie occidentali. Tutto questo non si può più interpretare con la vecchia formula del voto di protesta; bisogna prendere atto che la politica è cambiata: il Paese è già altrove.
Sono anni che i sociologi avvertono un cambiamento nel cuore della società; i francesi (e gli europei) hanno visto che sia con la destra sia con la sinistra non è successo nulla; si ritrovano in una società dove i meccanismi di ascensione sociale non funzionano più. Ma Le Pen si afferma sulla base di promesse mirabolanti: l’uscita dall’euro, la chiusura dei confini agli stranieri, la nazionalizzazione delle imprese che delocalizzano.
Alla fine agli elettori non importa nulla dei programmi, che comunque farebbero fatica a decifrare; l’importante è che la loro vita cambi ma nessuno sa come ciò possa avvenire. Non riescono ad andare oltre gli slogan e hanno il sospetto che questi non servano a risolvere i problemi: esistono poche possibilità che per i cittadini medi le cose possano migliorare, ma essi vogliono giocare la lotteria del cambiamento. Il programma dei populismi sono contraddittori e incoerenti, soprattutto in campo economico; probabilmente gli elettori non se ne rendono conto ma, cambiando la classe dirigente lasciano aperta la speranza che la situazione possa cambiare. E’ un gioco d’azzardo che può costare molto caro.
Il Movimento di Marine Le Pen ha molti caratteri in comune con il populismo italiano, ma anche molte diversità; sulla linea ideale orizzontale che serve a stabilire la collocazione dei partiti sull’asse destra-sinistra, il Fronte è una forza nazionalista e xenofoba che non ha mai governato, mentre la Lega ha sempre avuto un rapporto pessimo con il nazionalismo, passando dal localismo secessionista al regionalismo identitario che non ha avuto successo nonostante la lunga permanenza al governo di Berlusconi.
Il Fronte viene definito un partito di destra, tuttavia non agisce soltanto sulla base di questa divisione ma anche su quella verticale tra alto e basso. Il popolo francese ha dimostrato di essere contrarietà verso le oligarchie indifferenti e arroganti che disprezzano il popolo rivendicandone il voto al solo scopo di conservare i propri esorbitanti privilegi.
Lungo questa seconda frattura il Fronte è riuscito a monopolizzare la rappresentanza di chi si sente “in basso”; invece in Italia in quello stesso spazio la Lega deve competere con il Movimento 5 Stelle. Il vento della contestazione verso chi “sta in alto””, in nome di “chi sta in basso” Oltralpe gonfia le vele di un partito di destra e da noi si esprime invece in due partiti, uno di destra e l’altro ancora non definito.
La differenza tra i due Paesi sta nel fatto che per decenni lo Stato nazionale repubblicano francese ha saputo mantenere fede alle proprie promesse di ordine, benessere, diritti di cittadinanza, laicità, capacità di integrazione e il Fronte ha successo perché dichiara di volerne ripristinare la forza. Noi invece non possiamo ripristinare alcunché perché uno Stato nazionale forte non lo abbiamo mai avuto; si capisce perché le angosce generate dalle sfide storiche di questi anni in Francia si sono incanalate nel Fronte, mentre in Italia sono espresse da due forze politiche che con lo Stato e la nazione hanno avuto poco a che fare.
L’esito finale che ha visto il Fronte soccombere per ragioni di ingegneria elettorale non va sottovalutato come uno “scampato pericolo”: tra un anno si vota per il presidente e, in ogni caso, lo stato d’animo non solo dei francesi ma anche degli europei è un dato di fondo non eliminabile a breve.
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