La vicenda dei bandi di progettazione per piazza della Repubblica, di cui abbiamo avuto nei giorni scorsi l’esito, richiede una necessaria riflessione.
Ogni città ha una sua storia testimoniata dai ‘segni’ che il tempo ci consegna. Ogni innovazione nell’ambito del tessuto urbano esistente costituisce un nuovo ‘segno’ che integra il passato, testimonianza di chi è vissuto e operato prima di noi. Ciò non è avvenuto negli anni ’30 del ’900 quando viene distrutta piazza Porcari e il nuovo ruolo di Varese-Capoluogo viene espresso con la piazza Monte Grappa e le vie che da questa si irradiano.
L’architetto Morpurgo di Roma, redattore del Piano regolatore affermava che non si potevano individuare altre soluzioni adeguate. La storia politica italiana in città era contrassegnata da ‘segni’ precedenti: con la piazza XX Settembre veniva ricordata la breccia di Porta Pia a Roma con il compimento dell’Unità nazionale il 20 settembre 1870. In questa piazza era stato collocato il monumento dello scultore Butti a ricordo delle centinaia di migliaia di Caduti della guerra 1915-18. Visitato nel 1923 da Vittorio Emanuele III.
Poi il monumento veniva trasferito nell’attuale piazza della Repubblica in posizione centrale e significativa del suo contenuto di memoria per la nostra Città. Sulla piazza si affacciava dagli anni ’60 dell’ottocento la caserma dell’Esercito, una struttura semplice e dignitosa. Negli anni ’30 del ’900 veniva realizzato il complesso educativo delle Suore della Riparazione studiato dall’ingegner Maggi, di buon livello progettuale. La piazza assumeva così una sua prospettiva, sullo sfondo della collina di Bosto, misurata e rappresentativa di memorie e di presenza educativa poi confermata dall’insediamento universitario.
La demolizione del Mercato coperto, che era stato progettato dall’ingegner Santarella, docente del Politecnico di Milano, della quinta ottocentesca di case con negozi tra la via Dazio vecchio e l’attuale via Manzoni, la edificazione del complesso delle Corti con il grande autosilo sotto la piazza, la realizzazione verso la collina di alcuni condomini di scarsa qualità, ha portato alcune offese al quadro paesistico dato.
Questa era la situazione quando è stato deciso di indire i concorsi per il nuovo teatro e per gli spazi liberi della piazza. Stupisce che non siano stati indicati gli obiettivi che le progettazioni avrebbero dovuto avere presenti. Che gli spazi esistenti non avrebbero dovuto essere considerati semplicemente spazi disponibili per libere proposte di architettura.
Per quanto riguarda il teatro prendo atto che non si riesce ancora a considerare una non rinviabile prospettiva fondata su una collaborazione intercomunale che dia finalmente un ruolo alla nostra Città-Area prealpina. Per il suo rilancio culturale, turistico, economico. Per nuovi adeguati rapporti anche con il Canton Ticino.
Una prospettiva che dovrebbe essere anche urbanisticamente rappresentata da un ‘luogo’ che già negli anni ’90 del secolo scorso veniva individuato in un centro congressuale e teatrale in vista dei laghi e del Monte Rosa.
Con una mia pubblicazione di alcuni anni fa ricordavo le considerazioni al riguardo della società Oikos, redattrice del Prg, e facevo una mia proposta. Non è auspicabile infatti, ragionevolmente, che qualora con ritardo si affrontasse la opportunità di un centro congressuale meglio dimensionato e articolato di quello di Cernobbio, una sua realizzazione debba aggiungersi (sostenibilmente?) a quella già molto onerosa di un teatro. Il desiderio di una sala esclusivamente teatrale pare con evidenza idea radicata in un passato settecentesco che fortunatamente vive in quelle città che non hanno distrutto il proprio, come Varese ha sconsideratamente fatto.
Oggi credo che si debbano perfezionare le strutture esistenti senza eliminarne la presenza, come quella del cosiddetto teatro-tenda di piazza della Repubblica opportunamente integrato, per realizzare il nuovo teatro previsto dal concorso.
Quali indicazioni avrebbero dovuto quindi essere date ai partecipanti? Il rispetto dei ‘segni’ della nostra storia: con la presenza della Caserma – correttamente affidata a nuovi ruoli – la rilevanza del fondale costituito dall’ex Collegio Sant’Ambrogio e la sua complementarietà edificata con il monumento ai Caduti, confermandone la sua destinazione universitaria integrabile con nuovi spazi.
Ma anche la inaccettabilità di nuove sovrabbondanti edificazioni incombenti verso la piazza come proposto dal progetto vincente, offensive verso la presenza verde della collina. E la non accettabile sistemazione a verde della piazza che riduce a reliquato il monumento ai Caduti facendogli perdere la sua centralità espressiva. La nuova piazza non si può definire senza il rispetto della sua storia, che noi oggi dobbiamo assicurare: con la delicatezza necessaria.
Non possiamo essere noncuranti di quanto ci viene consegnato dalle vicende del passato, dei suoi valori ma anche degli errori compiuti, da correggere quando ancora possibile. Perché questo rispetta il significato della Città come luogo di una Comunità.
Anche se è giusto apprezzare, nell’assenza dei contenuti che avrebbero dovuto essere indicati, il livello qualitativo delle architetture presentate.
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