Angelo Rozzoni, storico vicedirettore del Giorno di Italo Pietra e poi di Gaetano Afeltra. uomo dotato di un senso della notizia fuori dal comune e di straordinarie doti organizzative, di tanto in tanto convocava i cronisti più giovani delle varie redazioni, nel suo monacale ufficio, per rinfrescare una regola aurea del suo credo giornalistico. Con il piglio militaresco che gli era proprio ammoniva: “Ragazzi, diffidate degli uffici stampa sia pubblici che privati. Sono stati appositamente inventati per non dare informazioni o, nel migliore dei casi, per darle sbagliate. Ricordatevi che noi non siamo giudici ma testimoni dei fatti che raccontiamo, dunque abituiamoci a tenere sempre in debito conto le ragioni degli uni e degli altri”.
Lungo mezzo secolo di professione ho fatto del mio meglio – non sempre riuscendoci – per non scostarmi troppo da questa regola, tranne nell’ultimo anno quando ho accolto, pur con molti dubbi, l’invito di molti amici a occuparmi della comunicazione stampa del movimento civico #Varese2.0., terzo classificato alle primarie di coalizione di domenica scorsa. Per la prima volta mi sono trovato nella veste non di testimone ma di fornitore di notizie: conferenze stampa, comunicati, precisazioni, rimostranze, un mix di seccature e divertimento. Con una constatazione di fondo: il giornalismo, anche quello locale cosiddetto della porta accanto, è cambiato in profondità e non sempre in meglio.
Fino a una ventina di anni fa i giornali, ricevendo un numero di notizie infinitamente inferiore a quelle attuali, potevano più agevolmente controllare, verificare, approfondire e gerarchizzare ciò che gli veniva segnalato. In buona sostanza svolgevano un ruolo più attivo e propositivo, con poche concessioni al sensazionalismo. Insomma il giornalismo locale di oggi tende a fare più da cassa di risonanza alle notizie fornite da terzi piuttosto che a scoprirle e diffonderle in proprio.
Naturalmente in una competizione politica come le primarie l’attenzione dei protagonisti in campo è spesso ossessivamente rivolta proprio alle risonanze e alle amplificazioni che i vari media danno o non danno a questa o a quella comunicazione. Il rilievo attribuito a tutto ciò che fa o non fa il “nemico” interno alla famiglia di appartenenza viene, nella circostanza, soppesato con il classico bilancino del farmacista e visto con una buona dose di strabismo. Basta un titolo più piccolo, una collocazione a fondo pagina o un’involontaria omissione dei media per provocare qualche mal di pancia di troppo, qualche incontrollata fibrillazione o addirittura scatenare il complesso di Calimero, il pulcino nero, per definizione incompreso e bersaglio di sfortune e ingiustizie.
Credo che a turno tutti e quattro i capi cordata delle primarie ne abbiano in qualche misura sofferto, fin sul traguardo finale quando qualcuno dei duellanti ha effettivamente giocato al limite di un Regolamento deficitario sia nelle regole di partenza sia in quelle di arrivo. In partenza perché si è data cittadinanza al principio, molto italico, del “chi prima arriva meglio alloggia”; all’arrivo perché non si è fissato uno stop tassativo a ogni forma di propaganda mediatica almeno ventiquattro ore prima dell’avvio della consultazione. Pur con questi doverosi rilievi le primarie di coalizione sono state un test positivo per tutti, una prova generale di partecipazione che potrebbe crescere di molto nella prossima primavera di vigilia elettorale.
You must be logged in to post a comment Login