Viviamo nell’era della comunicazione che ha creato, in parallelo con altre tecnologie, il villaggio globale. Paradossalmente accanto alla comunicazione globale trionfa l’incapacità di comunicare con il prossimo più prossimo. Ma tralasciamo questo argomento.
Le tecnologie attuali permettono di far volare su tutto il pianeta notizie che un tempo non sarebbero uscite da una regione se non dopo giorni e giorni, se non anni, o addirittura non avrebbero mai raggiunto altri siti. Si viveva senza sapere dell’esistenza d’altri popoli. La realtà vissuta era molto più piccola in un mondo molto più grande dell’attuale. Oltre le colonne d’Ercole il nulla …
Sto parlando di una realtà nota a tutti, ma che ci pone di fronte a sfide nuove e che spaventa. Assistiamo al cedere alla tentazione di chiuderci, d’alzare barriere per contrastare gli eventi, ma l’esperienza insegna che i confini prima o poi vengono superati, specialmente ai nostri giorni dove le distanze si sono veramente accorciate.
Nei tempi antichi la notizia di un avvenimento si diffondeva di bocca in bocca e attraverso le generazioni diventava mito. Oggi si espande velocemente, quasi istantaneamente, ma sopraggiunge poi un’altra notizia che cancella la precedente. Questa velocità toglie il ricordo, senza il quale si perde la possibilità di trarre insegnamento dall’esperienza vissuta, che si cancella. Questa è una delle cause per cui in politica, in economia, nelle società si ripetono errori. La storia viene ignorata per insipienza o addirittura volutamente: così si rimane in continua realtà aberrante. Esempio? La crisi economica del ’29 contro la crisi economica dei nostri giorni, apparentemente più complicata, ma che ha alla base un errore molto simile.
Viviamo un paradosso che la comunicazione dovrebbe impedire, mentre invece lo favorisce. Comunicare non vuol dire ricordare, non vuol dire imparare. Martellati ossessivamente per giorni da notizie, da immagini, da problemi che poi improvvisamente scompaiono sostituiti da altri, noi restiamo una massa di smemorati apparentemente eruditi da notizie sfuggenti, che ci possono smuovere emotivamente ma poi cadono nel dimenticatoio. Come detto, lontani dalla storia non sfruttiamo le esperienze vissute. Sembra che la scienza della comunicazione sia contro di noi, ci danneggi invece di migliorare la qualità della vita.
Tutti sappiamo che tutto può essere usato a fin di bene, ma tutto può essere usato contro l’uomo. Ancora un esempio: sappiamo che l’energia, necessaria per la vita, aiuta l’uomo, ma può essere usata, purtroppo con molta facilità, contro l’uomo stesso arrivando ad ucciderlo. Analogamente il positivo della scienza della comunicazione è una grande conquista, può essere d’aiuto alla società, ma assistiamo spesso al suo uso deviante al fine di provocare emozioni, stimolare pulsioni, eccitare paure nell’animo dei cittadini, cercando di manipolare la loro ragione e spingendoli verso errori madornali. Tutti viviamo la fatica di cercar d’essere obiettivi quando ripetutamente ci sparano in faccia eventi o pensieri, spesso urlati dai soliti “mezzi busti” che ci inducono alla paranoia, annebbiando volutamente la realtà. Abbiamo sì la facoltà della comunicazione, ma non abbiamo, o per lo meno è scarsa, la facoltà contraria che ci difenda dal pericolo di minaccia alla nostra libertà di pensiero.
Come proteggerci? Non facile! Forse l’intelligenza e la cultura dovrebbero essere gli strumenti adatti, per cui diventa importante educare i figli a saper pensare autonomamente, a non essere vittime dei movimenti di massa, cercando d’essere fedeli alle semplici, fondanti norme di vita che la cultura atavica ci ha tramandato. Sono insegnamenti che vengono da molto lontano nel tempo e li troviamo negli scritti di tutti popoli, sia occidentali che orientali, ma ci vuole l’umiltà d’accoglierli.
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