Colluso s.m.: chi si accorda segretamente con la malavita organizzata ricoprendo incarichi politici o di pubblica Amministrazione. Anche in funzione di aggettivo: politico, amministratore colluso.
Aggettivo qualificativo che si adatta ad alcuni politici, a uomini delle istituzioni, a manager, persone che, a vario titolo, trattano con la mafia. Questo ci anticipa il titolo dell’ultimo libro (“Collusi”) del magistrato Nino Di Matteo, ospite a Varese sabato 5 dicembre, “assistito” dai giovani della sua nutrita scorta.
L’Università dell’Insubria lo accoglie nell’Aula Magna di via Ravasi: ragazzi e tanti giovani studenti, professori, cittadini comuni, insieme con il Movimento nazionale delle Agende Rosse.
Di Matteo si presenta con Salvatore Borsellino: insieme raccontano la loro esperienza di siciliani scomodi. A un magistrato come lui, che rischia la vita, la propria e quella dei “suoi” ragazzi, ogni ora di ogni giorno, c’è da credere quando mette sotto accusa, senza giri di parole, i collusi del nostro Belpaese. Lo fa con tanto di prove, corredate di nomi, cognomi ed eventi, tutti riportati nel suo libro.
Il magistrato palermitano è un uomo isolato dalle stesse istituzioni alle quali si dedica da venticinque anni, e lo si nota subito: in sala non ci sono rappresentanti politici, tranne uno dei candidato alle primarie di coalizione del Centrosinistra. Poco.
Per fortuna i presenti non risparmiano gli applausi, che scrosciano di continuo, incoraggiano, sostengono. Il pubblico si alza per rendere omaggio a Salvatore, fratello di Borsellino, quando interviene emozionatissimo premettendo di essere “solo un ingegnere”, da ventitré anni alla ricerca della verità sulla morte del fratello Paolo.
Il libro è la minuziosa ricostruzione di sentenze definitive, con le denunce dei rapporti che Cosa Nostra, come le altre mafie, ha spesso mantenuto con il potere.
Palermo, come il resto del Paese, ha bisogno di ricordare – afferma Di Matteo – deve riflettere, deve sottolineare, ma con i fatti, i principi della nostra costituzione: solidarietà, eguaglianza, indipendenza della magistratura da ogni altro potere.
“Abbiamo tutti bisogno di giustizia e di verità”, viene sottolineato con forza.
E dunque, se la mafia non ha mai cambiato pelle è stato perché certa politica, per poter esercitare e mantenere il proprio potere, è scesa a patti con la criminalità. Così oggi ci troviamo di fronte ad una compenetrazione tanto profonda che spesso è lo stesso mafioso a scendere direttamente in politica.
Abbiamo vissuto nell’illusione che da noi, qui al Nord, le mafie non esistessero, consentendo loro di infiltrarsi nel territorio e nelle istituzioni.
Difficile anche solo accettare l’idea che le istituzioni siano inficiate dal terribile fenomeno. Che la mafia sia transitata nei salotti buoni, diventando più insidiosa che mai. Che dialoghi con la politica, le lobby, l’imprenditoria. Che spadroneggi nei luoghi dove lo Stato è assente.
Per questo motivo la consapevolezza della coabitazione con questo fenomeno non riguarda solo i cittadini siciliani, i calabresi, i campani, i pugliesi, ma l’intero paese.
Leggendo il libro veniamo a conoscere le indagini che Di Matteo ha diretto e continua a dirigere, ritenute scomode persino da alcuni uomini delle istituzioni. Così capiamo perché è diventato il bersaglio numero uno dei boss più influenti come Totò Riina e Matteo Messina Denaro.
Salvatore Borsellino si è congedato dal pubblico affermando: “Oggi io la speranza di conoscere la verità, l’ho riconquistata, perché sono qui e sarò in tanti altri incontri che si faranno”. Gli ha fatto eco Nino Di Matteo con parole che hanno mitigato l’impatto con l’aggettivo “colluso”, sottolineando che “Questo paese potrà ancora contare sulla forza di indignazione di tanti cittadini”.
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