Abbiamo letto con interesse un articolo in cui il politologo Olivier Roy sostiene che quel che sta avvenendo in Francia non è la radicalizzazione dell’islamismo ma l’islamizzazione del radicalismo, l’intelligente sintesi di un processo di trasformazione che è sociale ancor prima che religiosa.
Come tutte le sintesi dei grandi analisti, quella di Roy schiude diversi orizzonti a chi voglia andare un poco più in là della sua pur efficace analisi e soffermarsi sulla genesi e sulle conseguenze del radicalismo e delle sue diverse trasformazioni nel corso dei secoli.
Per non mischiarci, neppure per un attimo con i sacerdoti del “politicamente corretto”, con quelli che con il loro acceso tartufismo culturale stanno facendo la pulizia etnica del pensiero occidentale, abbiamo scelto di iniziare il nostro modesto ragionamento partendo dalla sua conclusione: il radicalismo non sempre produce effetti negativi, sia nel campo sociale, sia in quello politico.
Prendiamo per esempio l’avvenimento che costituì l’atto di nascita dell’era contemporanea, quella Rivoluzione francese dove fu il radicalismo dei giacobini ad avere l’appoggio delle masse rivoluzionarie e non i moderati girondini. Se questi ultimi fossero riusciti a prevalere, la Révolution avrebbe finito per trasformarsi semplicemente in una rivolta contro l’ancien régime, rimanendo così un fatto di ordine interno della Francia.
Dove, però, il radicalismo produsse indubbi effetti benefici fu a casa nostra, anche se quello italiano fu un radicalismo binario nel senso che ebbe quali discordi campioni Mazzini e Garibaldi. I due Giuseppe nazionali, infatti, furono le anime contrapposte del radicalismo dell’Ottocento italiano perché il primo si rinserrò in un’intransigente ortodossia repubblicana senza se e senza ma, mentre il secondo passò dallo spirito barricadiero della gioventù a una sofferta – ma pragmatica – collaborazione con la monarchia sabauda che, bene o male, stava realizzando l’Italia Unita.
Ma, fatto che pochi ricordano, il radicalismo politico europeo e italiano nacque da un altro tipo di radicalismo: quello del Romanticismo. Eppure dove esso attecchì per prima, e cioè in Inghilterra e Germania, pochi presero sul serio un movimento letterario e culturale dai contorni che all’epoca erano ritenuti pittoreschi, salvo accorgersi con sgomento che quel movimento così snobbato dall’imperante cultura classicista avrebbe messo in irreversibile crisi l’establishment conservatore europeo e il suo campione, Metternich, nel 1848.
Quell’anno segnò il punto più alto del Romanticismo operativo perché sotto l’impeto travolgente dello “sturm und drang” si liberalizzarono i governi in quasi tutta l’Europa e, per quanto ci riguarda, fu l’anno della Prima Guerra d’Indipendenza e dell’inizio della crisi del papato come istituzione temporale.
Il nemico numero uno dei nostri giorni, il radicalismo islamista, non è nato ieri ma quarantadue anni fa. Nel 1973, a seguito della guerra del Kippur tra Israele, Egitto e Siria, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), composta nella quasi totalità da Paesi musulmani, interruppe il flusso di petrolio verso l’Europa e gli Usa perché ritenuti amici di Israele. Dopo scontri e serrate trattative tra gli stessi Paesi produttori di petrolio, ripresero finalmente i rifornimenti, solo che il greggio era aumentato più del triplo sul mercato mondiale mettendo in seria crisi molte economie.
Ebbene, la voluta crisi petrolifera del 1973 fu la prima islamizzazione di un particolare tipo di radicalismo, quello energetico, e come tutti gli altri radicalismi ebbe anch’essa i suoi risvolti positivi. Fu in quei frangenti, infatti, che l’Europa capì di non poter più continuare a fondare il proprio sviluppo economico e industriale su di un’unica fonte energetica sicché s’incominciarono a ricercare energie alternative che fossero più economiche e meno inquinanti del petrolio.
Per la prima volta s’iniziò a parlare di ecologia, di difesa dell’ambiente, dei gas serra e del buco nell’ozono, insomma quella crisi petrolifera può essere considerata l’incubatrice della coscienza ecologista italiana ed europea. Il fatto nuovo di quella crisi fu che essa non era né di ordine economico, né di ordine politico ma religioso perché i popoli musulmani avevano realizzato di avere a guidarli un inedito ma potente condottiero: il petrolio. Il fenomeno fu certamente sottovalutato dagli occidentali che lo interpretarono come una manifestazione di panarabismo in salsa economica e non ciò che realmente esso era: l’inizio del panislamismo! O, se volete, «Islamizzazione del radicalismo» come lo ha definito Roy nei mesi scorsi.
Giunto a questo punto, il lettore si aspetta che concludiamo spiegandogli il senso dell’affermazione iniziale secondo cui il radicalismo islamista dell’Isis che sta flagellando l’Europa e gli Usa alla fine qualcosa di buono produrrà. Anzi, secondo noi, due le ha già prodotte, due avvenimenti che nessuno tra i rozzi capi del cosiddetto Califfato Islamico poteva prevedere.
La prima cosa buona è che la vera Unità Europea si sta realizzando sul campo in questi giorni dove i principali capi di Stato e di governo dell’Unione stanno tentando di realizzare (che poi vi riescano è un altro discorso) la più ampia e condivisa strategia di lotta al terrorismo integralista mai vista fino ad oggi.
Il secondo avvenimento, strabiliante più che positivo, è stato l’avvicinamento della Russia di Putin all’Europa. Dei risultati del genere erano impensabili appena un anno fa. Sicché, dopo che avrà arginato questa ennesima follia con una lotta che non sarà breve e neppure facile, l’Europa alla fine ne uscirà più forte di prima e con una più convincente identità politica. Basta soltanto che ne se ne convincano l’Europa e gli europei.
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