(O) Quest’incontro con lo scalatore Kammerlander, di cui hai fatto un accenno la volta scorsa, ti ha colpito veramente. Non fai che parlarne.
(C) Sarà stato per il fatto che era la prima volta che parlavo in un’aula universitaria o per il ricordo di qualche lontana avventura alpinistica. Ma tu, che neppure sei venuto, che hai seguito l’evento in streaming, sei stato tanto preso che ti sei letto di corsa due libri del suddetto autore.
(O) Sono stato attirato dal titolo ‘Appeso a un filo di seta’, che mi ha suggerito l’idea di una precarietà, simile alla condizione psicologica in cui ci troviamo tutti, dopo gli attentati di Parigi. Kammerlander ragiona a lungo sull’impossibilità di garantirsi la sicurezza in alta montagna, pur cercandola sempre: questa mi è sembrata una bella metafora della vita, in questo momento storico,
(S) Ma non solo in questo momento, sempre. Non c’è metafora che tenga, di fronte alla morte di una giovane mamma di due bambini. Il funerale è stato ieri, ma oggi e domani… quante volte… in quante parti del mondo? Che senso ha tutto questo? A maggior ragione, che senso ha andare a cercare un rischio inutile?
(O) Sempre e dovunque si cerca la risposta al perché vale la pena vivere. Andando a lavorare in ufficio, scalando un ‘ottomila’ o leggendo un libro. Guardando il panorama. Ho un amico che si alza sempre, ad un certo punto del viaggio quotidiano da pendolare, per guardare il Monte Rosa. L’avrà visto migliaia e migliaia di volte, spesso da vicino, ci è salito sopra, eppure continua a guardarlo, meravigliato. I suoi compagni di viaggio si meravigliano della sua meraviglia. È la bellezza, il fascino di una bellezza misteriosa, che ti coglie più facilmente che non lungo la strada per l’ufficio. Eppure anche a lavorare vai per rispondere alla stessa domanda, per andare oltre l’apparenza, comunque oltre…
(S) Però tutt’e due avete smesso ben presto di andare in montagna e siete rientrati nella normalità.
(C) Cercando i miei limiti (non erano tanto lontani) ho capito che quell’oltre non era un luogo da raggiungere, ma un percorso da fare dentro di me; anche questo mai finito, sempre ripetibile. In certe situazioni, in montagna, mi sono sentito legato ad un filo ben più importante della corda che mi legava al compagno o alla parete. Nelle circostanze della vita, le più spiacevoli, le più ingiuste, mi ritrovo a pensare che questo filo non si può spezzare, che è più vero di tutte le sicurezze, le protezioni, le prevenzioni, le previdenze che possiamo garantirci in questo mondo. Non si può spezzare, perché non dipende da me, perché io non dipendo da me. Cerco di seguire questo filo, a volte lo smarrisco, (mi è capitato anche in montagna, corde fisse sotto la neve, tracce perdute nella nebbia) ma non dispero di ritrovarlo. Credo che quando Papa Francesco parla di misericordia, che viene come perdono prima del giudizio, intenda questo filo che non si spezza, né a causa del peccato, né a causa della morte.
(O) È questa certezza che mi dà coraggio di fronte alla prospettiva degli attentati come quelli di Parigi, puro terrorismo, pura fatalità, senza neppure la ragione di una vendetta.
(S) Avevate promesso di non tediarmi con il Giubileo e con la tiritera di non aver paura degli islamici, ma ci siete ricascati, tutt’e due, coalizzati contro di me e contro il buon senso. Vorrei vedervi (ma non ve lo auguro) se capitasse proprio a uno di voi!
(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi
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